L'arma vincente della qualità

I dati di luglio sul commercio estero testimoniano la vitalità dell'Azienda Italia. Rispetto a un anno fa le esportazioni sono cresciute del 4,3% in valore, e di altrettanto sono diminuite le importazioni. Il che dimostra capacità di difendere il mercato interno ed efficacia nella coltivazione dei mercati esteri meno colpiti dalla crisi.
Anno su anno le vendite sono cresciute del 30% verso i Paesi Asean, del 22% verso gli Stati Uniti, del 21% verso i Paesi Opec. Mercati difficili da servire e ancor più da penetrare. Ma molte imprese italiane di fronte al crollo del mercato interno e al rallentamento di quelli europei hanno saputo in pochissimo tempo aumentarvi le vendite.
Colpisce la relativa rapidità del successo, che in molti casi ha consentito di mantenere in positivo conti che sarebbero stati travolti dall'andamento dei mercati tradizionali. L'arma vincente è la qualità aziendale. Lo dimostra il successo del settore dei macchinari, le cui vendite verso Paesi Opec, Paesi Asean e Stati Uniti contribuisce per oltre il 15% all'aumento tendenziale dell'export. Il settore della meccanica strumentale riunisce in sé quanto di meglio sappia esprimere il made in Italy in fatto di capacità competitiva.
Creatività, flessibilità operativa, abilità esecutiva, cultura della convivenza accomunano le nostre produzioni di arredamento, abbigliamento, alimentare; in più, la meccanica strumentale incorpora, in misura maggiore degli altri citati, un contenuto elevatissimo di innovazione applicata, spesso originato da continui investimenti in ricerca. Dentro alle aziende regna la cultura del gruppo, inteso come insieme di persone che da un lato credono nella missione aziendale e sono orgogliose di proporre ai clienti prodotti e servizi contenenti un surplus di utilità. Dall'altro sono consapevoli che mantenere a un livello - per noi - confortevolmente elevato la retribuzione dei fattori produttivi locali, in primo luogo del lavoro, richiede un impegno corale di tecnologia, investimenti, competenze, lavoro.
Sfortunatamente questo quadro progressivo fotografa una parte troppo piccola del sistema produttivo e una quota insufficiente della forza lavoro. In troppe aziende la tensione verso il miglioramento delle prestazioni offerte ai clienti è inadeguata a produrre effetti commerciali trainanti, lasciando spazio a un circolo vizioso che intreccia profitti insufficienti e mancanza di risorse per promuovere innovazioni. La ricerca di protezioni, se possibile di garanzie, è ancora troppo praticata nel nostro Paese, laddove invece occorrerebbe dare spazio alle opportunità, soprattutto per i giovani.
Una politica industriale per la crescita dovrebbe partire dalla costruzione di opportunità. In primo luogo alleggerendo il carico fiscale su coloro che producono, ossia su quelli che vanno incoraggiati a impegnarsi e magari a rischiare di investire in se stessi o nella propria azienda. In secondo luogo, rimuovendo gli ostacoli al fare impresa: non possiamo più fingere di non vedere che aziende che in Italia non fanno utili o non riescono a espandersi ci riescono invece benissimo in altri Paesi industrialmente sviluppati. Riduzione della burocrazia, normalizzazione dei pagamenti, apertura di nuovi canali di finanziamento sono temi già nell'azione del Governo.
Ma lo Stato e le altre amministrazioni pubbliche devono anche operare interventi più diretti. Rientra nei loro compiti fornire beni e servizi complessi, che il mercato da solo non è in grado di produrre in modo efficiente. Le reti infrastrutturali materiali e immateriali sono l'esempio migliore. Il mercato può costruirle, finanziarle e gestirle, a patto che lo Stato detti scelte e regole e magari partecipi al finanziamento dei progetti a più lungo ritorno. La scelta e la spinta pubblica possono contribuire a far decollare investimenti con importanti effetti moltiplicativi immediati e miglioramenti strutturali dell'efficienza del sistema. Analoga considerazione vale per le innovazioni applicative: un investimento limitato in un pacchetto di esse consentirebbe di far partire produzioni nuove e trattenere in Italia una parte dei migliori cervelli pronti a emigrare. Le risorse sono limitate ma l'esigenza è pressante: se non si parte subito a creare opportunità, continuerà a crescere la richiesta di protezioni e garanzie, che per definizione esclude i giovani, coloro che il lavoro non ce l'hanno e tutto ciò che è nuovo.
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