L'altro fronte dell'economia

Dalla Rassegna stampa

Se si rilegge con calma il puntuto contrasto tra il presidente del Consiglio e quello di Confindustria, con i relativi immediati commenti (in particolare quello di Dario Di Vico sul Corriere di ieri) si capisce che siamo in presenza di un ritorno sulla ribalta di un nostro antico e irrisolto problema: la contrapposizione fra dimensione verticale e dimensione orizzontale della dinamica economica e sociopolitica. Monti è oggi l’interprete più accreditato della spinta verticale, forte del suo rapporto di vertice con i vertici della finanza internazionale e delle istituzioni europee; è propenso in Italia a concentrare il potere in poche sedi a forte tecnicalità (Banca d’Italia, Consip, Cassa depositi e prestiti, Inps). Resta fuori dalla sua sensibilità la dimensione orizzontale del nostro sviluppo garantita dalla molteplicità dei soggetti operanti sul territorio (Comuni, Province, Comunità montane, aziende sanitarie nell’immenso campo della piccola e piccolissima impresa e del lavoro autonomo). Avrà le sue buone ragioni dovendo trattare con strutture che aspettano rigore e ancora rigore, e che pensano che i piccoli soggetti vivano di ingovernabile vizioso corporativismo; è altrettanto ragionevole rendersi conto che la verticalizzazione decisionale rende desertico il panorama della nostra attuale società destinata ad avere sul territorio sempre meno Comuni, meno Province, meno uffici postali, meno stazioni dei carabinieri, forse meno imprese. E il deserto, come si sa, tende sempre a crescere se non ci sono adeguati presidi di vita. Di questo pericolo non sembrano consapevoli le forze politiche, tutte prese dalla dinamica del potere centrale e sempre più incapaci anche loro di rappresentare la dimensione orizzontale diffusa degli interessi dei territori delle imprese. Mentre invece ne sono ben consapevoli varie strutture di rappresentanza, dai sindacati e organizzazioni delle autonomie locali ai difensori delle piccole imprese riunite in Rete Imprese Italia. Se la stessa Confindustria, la struttura più decisa a far presenza politica di vertice, ha lanciato l’allarme significa che il pericolo della desertificazione orizzontale del sistema esiste ed è grave. Sarebbe stato bene, invece di drammatizzare sulla «macelleria sociale», sottolineare tale pericolo con più prudenza e misura, come hanno fatto altri (Rete Imprese Italia e Anci) più radicati sul territorio e sulla dinamica reale dei tanti soggetti orizzontali che non possono peraltro essere accusati di essere portatori di potere forti, ma solo portatori di uno sviluppo che è stato sempre di quantitativa ricchezza di soggetti e di qualitativa ricchezza di vitalità soggettiva. Dimenticare tale evidenza per ascendere ad uno sviluppo di pochi gestito da pochissimi significherebbe lasciare scoperto un fronte interno che sarà pure secondario rispetto ai «pericoli dello spread», ma che a lungo andare diventa decisivo per la nostra buona reputazione internazionale. Questa certo è fatta dal rigore su cui il governo si sta muovendo. Tuttavia, è fatta anche dal dimostrare al mondo che il sistema non è un deserto che cresce, con dentro qualche ritrovato monumento tecnocratico, ma è un mondo originariamente vitale anche senza verticalizzate liberalizzazioni o semplificazioni. Dobbiamo solo imparare a governarla, l’antica vitale orizzontalità italiana, il nostro grande fronte interno, il governo dei tecnici potrebbe fare qualche utile passo in avanti anche se resta tutto l’onore da concedere a chi combatte sul fronte esterno. ]

Se si rilegge con calma il puntuto contrasto tra il presidente del Consiglio e quello di Confindustria, con i relativi immediati commenti (in particolare quello di Dario Di Vico sul Corriere di ieri) si capisce che siamo in presenza di un ritorno sulla ribalta di un nostro antico e irrisolto problema: la contrapposizione fra dimensione verticale e dimensione orizzontale della dinamica economica e sociopolitica.

Monti è oggi l'interprete più accreditato della spinta verticale, forte del suo rapporto di vertice con i vertici della finanza internazionale e delle istituzioni europee; è propenso in Italia a concentrare il potere in poche sedi a forte tecnicalità (Banca d'Italia, Consip, Cassa depositi e prestiti, Inps). Resta fuori dalla sua sensibilità la dimensione orizzontale del nostro sviluppo garantita dalla molteplicità dei soggetti operanti sul territorio (Comuni, Province, Comunità montane, aziende sanitarie nell'immenso campo della piccola e piccolissima impresa e del lavoro autonomo). Avrà le sue buone ragioni dovendo trattare con strutture che aspettano rigore e ancora rigore, e che pensano che i piccoli soggetti vivano di ingovernabile vizioso corporativismo; è altrettanto ragionevole rendersi conto che la verticalizzazione decisionale rende desertico il panorama della nostra attuale società destinata ad avere sul territorio sempre meno Comuni, meno Province, meno uffici postali, meno stazioni dei carabinieri, forse meno imprese. E il deserto, come si sa, tende sempre a crescere se non ci sono adeguati presidi di vita.

Di questo pericolo non sembrano consapevoli le forze politiche, tutte prese dalla dinamica del potere centrale e sempre più incapaci anche loro di rappresentare la dimensione orizzontale diffusa degli interessi dei territori delle imprese. Mentre invece ne sono ben consapevoli varie strutture di rappresentanza, dai sindacati e organizzazioni delle autonomie locali ai difensori delle piccole imprese riunite in Rete Imprese Italia. Se la stessa Confindustria, la struttura più decisa a far presenza politica di vertice, ha lanciato l'allarme significa che il pericolo della desertificazione orizzontale del sistema esiste ed è grave.

Sarebbe stato bene, invece di drammatizzare sulla «macelleria sociale», sottolineare tale pericolo con più prudenza e misura, come hanno fatto altri (Rete Imprese Italia e Anci) più radicati sul territorio e sulla dinamica reale dei tanti soggetti orizzontali che non possono peraltro essere accusati di essere portatori di potere forti, ma solo portatori di uno sviluppo che è stato sempre di quantitativa ricchezza di soggetti e di qualitativa ricchezza di vitalità soggettiva. Dimenticare tale evidenza per ascendere ad uno sviluppo di pochi gestito da pochissimi significherebbe lasciare scoperto un fronte interno che sarà pure secondario rispetto ai «pericoli dello spread», ma che a lungo andare diventa decisivo per la nostra buona reputazione internazionale. Questa certo è fatta dal rigore su cui il governo si sta muovendo. Tuttavia, è fatta anche dal dimostrare al mondo che il sistema non è un deserto che cresce, con dentro qualche ritrovato monumento tecnocratico, ma è un mondo originariamente vitale anche senza verticalizzate liberalizzazioni o semplificazioni.

Dobbiamo solo imparare a governarla, l'antica vitale orizzontalità italiana, il nostro grande fronte interno, il governo dei tecnici potrebbe fare qualche utile passo in avanti anche se resta tutto l'onore da concedere a chi combatte sul fronte esterno.

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