L’accusa dei Radicali: lo Stato è fuorilegge

Dalla Rassegna stampa

Sovraffollamento, malati non curati, agenti di polizia penitenziaria senza contratto da 7 anni.

Dal contratto nazionale degli agenti di Polizia penitenziaria al dramma del sovraffollamento. Nelle carceri italiani regna uno stato di latente illegalità. A denunciarlo sono i Radicali, che se ne sono resi conto di persona per l’ennesima volta.

Una delegazione dei Radicali ha infatti deciso di trascorrere il giorno di Capodanno tra i detenuti romani, visitando ieri mattina il carcere di Regina Coeli e il pomeriggio Rebibbia. La delegazione era guidata da Marco Pannella e costituita da Rita Bernardini, Laura Arconti, Mina Welby, Isio Maureddu, Paola Di Folco e Giulia Crivellini. «Siamo rimasti all’interno dei due penitenziari tante ore - ha raccontato Rita Bernardini in serata - A parte il sovraffollamento i problemi sono enormi e numerosi».

La Bernardini ha sottolineato le differenze tra Regina Coeli (un carcere «ormai vecchio») e il nuovo complesso di Rebibbia che, benché più recente, ha gli stessi problemi del carcere della Lungara. «Tanto per fare un esempio - ha raccontato la Bernardini - nelle celle singole abbiamo trovato tre detenuti, la stanza della socialità era occupata da letti. Si tratta di episodi di illegalità».

Ma a colpire la delegazione radicale sono stati anche tanti episodi singoli. «Un detenuto napoletano - ha ricordato Rita Bernardini - ci ha raccontato di essere stato costretto a farsi punire di proposito per poter incontrare l’educatrice, una figura, tanto per capirci, che deve redigere le relazioni per il magistrato di sorveglianza. A Rebibbia c’è un’educatrice ogni trecento detenuti».

C’è poi la situazione dei malati. «Praticamente non vengono curati, il medico non arriva mai - ha detto l’ex parlamentare - Abbiamo incontrato un ragazzo del peso di 270 chili su una carrozzella: una situazione incompatibile col regime carcerario. E poi ci sono altri casi gravi: malati di tumore, pazienti in attesa di un trapianto di fegato. Ma c’è un altro aspetto grave: su 1.700 detenuti solo 170, il dieci per cento, lavora. Gli stranieri sono assistiti da avvocati d’ufficio che se ne fregano. Pannella è stato accolto con amore: i detenuti si aspettano solo quello che gli è dovuto. Sono stanchi di essere sottoposti a tortura. Molti vivono a centinaia di chilometri dalle famiglie che non hanno soldi per andare a trovarli, con figli minori con problemi psicologici».

C’è poi il problema della polizia penitenziaria. «Il contratto è scaduto da 7 anni, non vengono equiparati alle altre forze dell’ordine e non vengono pagati neanche gli scatti di carriera. E' normale che si crei uno stress tale da sfociare nell’esasperazione completa». 

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