In Italia le 66.000 persone detenute invidiano gli animali... per lo spazio e le condizioni di vita che vengono garantiti loro!

Dalla Rassegna stampa

"Il termine svuota-carceri è fuorviante. Pare l'annuncio funebre per lo svuotamento di una discarica umana. Il messaggio che arriva è: cari italiani, metteremo in libertà qualunque mascalzone e via. Io credo invece che ciò che il ministro della Giustizia voglia fare abbia contenuti molto diversi. Niente accadrà per chi ha condanne per delitti gravi: terrorismo, mafia, traffico di droga, violenza sessuale di gruppo": queste sono parole della direttrice del carcere di San Vittore, Gloria Manzelli, utili per capire che cosa succederà davvero con questo decreto appena approvato per far fronte al sovraffollamento delle carceri. "Svuotacarceri", "Salvacarceri", "Sfollacarceri" non sono definizioni adeguate, si tratta di provvedimenti che possono far uscire prima i tossicodipendenti e rendere un po’ meno difficile l’accesso alle misure alternative al carcere a chi sta scontando la parte finale della pena. La direzione in cui va questo decreto è quella giusta, ridare un senso alla pena, renderla meno inutile e dannosa, e le testimonianze dei detenuti spiegano che cos’è una pena, che invece di responsabilizzare incattivisce. Però i numeri del sovraffollamento sono tali, che questo decreto è solo un piccolo inizio.

In Italia 66.000 persone invidiano gli animali per lo spazio e le condizioni di vita che hanno
 
Carcere! Ultimamente si parla molto delle condizioni in cui viviamo o per meglio dire sopravviviamo noi detenuti nelle carceri italiane. Io sono straniero e potrei non capire bene, ma da quando mi trovo in carcere (2009) hanno fatto almeno due decreti soprannominati dalla stampa "svuotacarceri", e credetemi la situazione è rimasta sempre quasi uguale. Molte volte l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea per lo stato delle sue carceri, ma oltre alle promesse non ha fatto molto per cambiare la situazione e le condizioni in cui vivono i "cattivi". Se fosse giudicata com’è giudicato uno di noi, l’Italia sarebbe considerata un pluripregiudicato, recidivo, in parole povere da "metterla in galera e buttare via la chiave".
Il Presidente Napolitano, Papa Francesco e molti senatori e deputati, appena finita la loro visita in qualche carcere hanno chiesto di trovare una soluzione a questo problema, perché non è accettabile che gli esseri umani possano essere trattati in questa maniera, ma con tutti i problemi che i politici devono affrontare, per riparlarne si deve aspettare forse la prossima condanna della Corte Europea.
Da quando faccio parte della redazione di Ristretti Orizzonti e ho incontrato migliaia di studenti, diversi parlamentari e giornalisti, mi ha meravigliato che la maggior parte di loro, alla domanda classica del fine incontro "cosa vi ha colpito di più di questa esperienza?", rispondevano "voi, le vostre facce". All’inizio non li capivo, non capivo cosa loro si aspettassero di trovare. Ma poi ho capito, tutto potevano aspettarsi ma non di trovare in carcere persone come loro, persone che non erano solo il reato che avevano commesso, ma avevano avuto un passato simile al loro, e con tanta fatica e sofferenza cercavano di costruire un futuro. Un giorno la direttrice del nostro giornale ci ha detto che "fuori le persone sono più preparate a ricevere una telefonata che dice che un loro caro è morto in un incidente, piuttosto che ricevere la notizia che l’hanno arrestato e portato in carcere", questa considerazione mi ha riportato alla mente le prime parole di mio padre quando l’ho chiamato dal carcere, "tutto potevo aspettarmi da te, ma che tu finissi in carcere, questo proprio no". Come qui in Italia, anche in Albania c’è quasi la stessa mentalità, è più facile accettare la morte di un famigliare che vederlo in carcere. Questo è frutto di una propaganda e una disinformazione dell’opinione pubblica in materia, a volte creata volutamente.
Non so se volutamente sono state riempite le prime pagine dei giornali, e si è parlato per settimane intere sui telegiornali di reati che le statistiche dicono che non stanno affatto aumentando. Non so se volutamente qualche governo, sull’onda di questa propaganda, ha fatto delle leggi che in qualche maniera l’hanno aiutato a vincere le elezioni in nome della sicurezza. Credo solo che si sia fatta la scelta sbagliata. Io che di scelte sbagliate ho qualche conoscenza, vi posso dire che il primo passo verso un radicale cambiamento è ammettere di aver fatto la scelta sbagliata.
Spero che sia finito il tempo di quel legislatore moralista, che chiudeva in cella ladri d’appartamento e piccoli truffatori e "buttava via la chiave", ma lasciava impuniti quelli che rubavano milioni, rovinando la vita a migliaia di persone.
Credo che dimostrarsi più cattivo con i "cattivi", non vuol dire essere buono.
Spero che i nuovi parlamentari abbiano il coraggio di fare la scelta giusta. In questi giorni l’Italia ha partecipato al G8, dove si decidono i destini del mondo, e credo che non si possa permettere più che all’interno del suo territorio ci siano quasi 66000 persone che invidiano gli animali, per lo spazio e le condizioni di vita che hanno.

Clirim Bitri

Paura di trovare un mondo ostile

Tante volte mi guardo allo specchio e mi viene una domanda: quale sarà il mio futuro? che progetto di vita ho? sembra facile immaginare qualcosa, sognare, lavorare con la fantasia, ma non lo è affatto per me, che devo passare una bella fetta della mia vita qui in carcere. Certo so che non soltanto per me è difficile pensare a un futuro così remoto, perché l’incognita del futuro è un tratto che oggi più che mai ci accumuna tutti, e l’incertezza di quello che succederà domani è purtroppo, in tempi di crisi, una cosa che abbatte i muri e ci rende simili, liberi o detenuti.
Allora cosa mi aspetto dal domani? non lo so, perché dopo tanti anni di detenzione avrò paura di trovare un mondo cambiato, ostile, e di scoprirmi inadeguato ad affrontare l’ebbrezza della libertà e del "non controllo".
Qui nella redazione di Ristretti Orizzonti facciamo tanti incontri con gli studenti, e una delle domande che più spesso ci fanno è qual è il nostro progetto per il futuro. Una persona in libertà che fa una vita tranquilla cerca sempre di immaginare il suo futuro, e prova a realizzarlo, ma non è detto che riuscirà a ottenere quello che desidera, immaginate un detenuto che deve scontare una pena lunga dieci o quindici o venti anni, che progetto potrebbe avere? in carcere ci concedono solo sei ore di colloquio al mese con i famigliari, io non so come si possono rafforzare gli affetti in cosi poco tempo. Come si può far continuare un amore che durava prima da tanti anni dedicandogli solo una manciata di ore? In più abbiamo una telefonata di dieci minuti alla settimana, anche questa non risolve niente, e allora mi viene in mente una domanda: chi mi aspetterà domani? E questa domanda mi provoca un’ansia che mi tiene sveglio di notte e mi incalza di giorno, l’ansia del "che ne sarà di me dopo il carcere" che qualche volta mi paralizza.
Io sono un extracomunitario ma vivo qui in Italia da venti anni e dopo aver scontato una pena di diciotto anni alla fine dovrei avere l’espulsione immediata, che prospettive ho allora nel futuro? dopo più di trent’anni di immigrazione vivendo qui come straniero, se torno nel mio Paese penso, anzi sono sicuro che mi sentirò più straniero che nel vostro Paese.
La vita in carcere inghiotte i giorni uno dopo l’altro, tutti simili, passano con velocità vertiginosa, ieri e l’altro ieri sono eguali, non si può distinguere un fatto avvenuto tre giorni o venti o un anno prima, finisce per sembrare tutto ugualmente lontano, cosi si svolge la fuga del tempo. È come se il tempo ci sfuggisse di mano, e tutto questo perché manca un programma di rieducazione per essere inseriti nella società e diventare utili in futuro. Il futuro è anche frutto del passato, ma se il passato è fatto di carcere senza che l’istituzione ci aiuti con un percorso verso la libertà, per me non c’è futuro e rispetto alla mia vita fino a qui potrei avere soltanto un senso di fallimento.
Io cerco di guardare sempre il bicchiere mezzo pieno, e non perdo mai la speranza e la fiducia nelle istituzioni. Però credo che con il problema del sovraffollamento, se tante persone detenute non fanno niente dalla mattina alla sera, quando saranno libere il loro futuro sarà peggiore del loro passato, e loro incattivite e arrabbiate torneranno forse a fare quello che facevano prima. Ecco perché è così importante che non stiano in carcere le persone che hanno pene brevi o problemi di tossicodipendenza, e per quelli come me, che ci devono stare parecchi anni, ci sia la possibilità di impegnarsi a fare qualcosa di utile e avere più tempo per incontrare le nostre famiglie.

Sofiane M.

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