Intervento del Ministro della Giustizia Cancellieri al 196° della fondazione del Corpo di Polizia Penitenziaria

Autorità, Signore, Signori, è per me un privilegio celebrare insieme a Voi la ricorrenza del 196° Annuale di Fondazione del Corpo della Polizia Penitenziaria. In linea con le indicazioni del Presidente del Consiglio del 3 maggio scorso, come in occasione della Festa della Repubblica, anche la cerimonia di oggi si svolge in un clima di sobrietà.
La situazione sociale ed economica in cui versa il Paese impone, nella forma e nella sostanza, senso di responsabilità da parte di chi rappresenta le Istituzioni a fronte delle difficoltà e delle sofferenze di tanti nostri concittadini. Sotto tale aspetto sono certa di poter contare sulla Vostra piena ed assoluta comprensione.
Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria sono tra gli operatori dello Stato più attrezzati sul piano professionale e più predisposti sul piano umano a confrontarsi ogni giorno con i temi della povertà, dell’emarginazione, della sofferenza e del disagio sociale. Pochi possono contare su una preparazione come la vostra nel campo della sicurezza, in quello “trattamentale”, nella gestione degli eventi critici, come pure nel campo dell’ascolto, della comunicazione e dell’etica del servizio. La sobrietà peraltro non sminuisce il significato della ricorrenza odierna, che richiama la Vostra ormai quasi bi-centenaria storia e la sostanza del Vostro impegno, fondato sulla condivisione dei valori della democrazia e sulla fedeltà alla Repubblica. Serve piuttosto a ribadire che il Paese e le sue Istituzioni sono chiamati insieme ad attraversare una stagione tanto difficile ed insieme si impegneranno per uscirne. Importante è anche il valore simbolico della scelta di celebrare questa ricorrenza, come nel 2012, nella sede della Vostra scuola intitolata a Giovanni Falcone. È qui che si realizza il passaggio di consegne tra chi, dopo l’apprendimento, ha maturato la propria esperienza sul campo e chi ne raccoglie il testimone per garantire continuità nell’innovazione al Corpo di Polizia Penitenziaria di domani. Giovani donne e uomini che saranno chiamati a compiti di altissima responsabilità.
Penso ad esempio al personale impegnato nell’attuazione del regime di custodia speciale previsto dall’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario. Uno strumento essenziale per interrompere i flussi di collegamento e di scambio di informazioni tra i leader delle organizzazioni di criminalità organizzata ed i loro sottoposti. Ma per attribuire al servizio della Polizia Penitenziaria il valore che gli è proprio occorre avere anche piena consapevolezza delle criticità del nostro sistema carcerario e delle condizioni difficili, spesso improbe, nelle quali vi trovate ad operare. È noto il sovraffollamento degli istituti di detenzione del nostro Paese, a fronte di pesanti carenze nei Vostri organici. Una situazione che mortifica il raggiungimento di ognuna delle finalità su cui dovrebbe essere basato il regime detentivo: le esigenze di sicurezza, le finalità di vigilanza e la funzione rieducativa della pena.
Criticità che arrivano ad intaccare i diritti di dignità della persona sanciti dalla nostra Costituzione. Una realtà che, come ha più volte sottolineato il Presidente Napolitano, non può più essere sottovalutata e che anche di recente ha provocato umilianti censure nei confronti dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Solo fornendo le risposte che la nostra tradizione giuridica ci impone e l’Europa attende potremo restituire al personale della Polizia Penitenziaria - cui va tutta la mia personale gratitudine ed apprezzamento - il suo ruolo di rappresentanza dello Stato, sgravandolo dall’ingiusto ed improprio compito di supplenza dello Stato medesimo. Sono però convinta che per superare i problemi strutturali del sistema occorre riuscire a dare piena concretezza al principio secondo cui la pena detentiva deve costituire l’extrema ratio. Il rimedio cui ricorrere quando si rivela impraticabile ogni altra sanzione. Se assumiamo questo principio come punto di riferimento, ci accorgiamo che gli spazi di intervento davanti a noi si ampliano notevolmente.
La reclusione potrebbe essere limitata ai reati più gravi, mentre per gli altri si dovrebbe fare più ampio ricorso alla detenzione domiciliare e al lavoro di pubblica utilità. Sempre nell’ottica delle finalità rieducative, all’interno delle strutture carcerarie si dovrebbero gradualmente ridurre i periodi di permanenza in cella - di segregazione in senso stretto -per lasciare il campo ad una maggiore socializzazione, ad una apertura alle attività culturali e lavorative con l’imprescindibile apporto degli operatori del settore. Tutto questo, ovviamente, mantenendo inalterata la indispensabile cornice di sicurezza.
Voglio qui ricordare, solo accennandolo, il tema della vigilanza dinamica, oggetto degli ultimi interventi del Dipartimento sull’attuazione dei circuiti regionali, già previsti dal Regolamento di esecuzione del 2000. Parallelamente diventa possibile l’adozione di forme alternative di definizione del procedimento penale. E la strada di un’imponente opera di depenalizzazione diventa finalmente praticabile. Riguardo ognuno di questi temi è in corso un lavoro di approfondimento che in tempi brevi dovrà condurre ad iniziative.
Riguardo ognuno di questi temi è in corso un lavoro di approfondimento che in tempi brevi dovrà condurre ad iniziative conseguenti. Un analogo lavoro di approfondimento è già iniziato per mettere a fuoco i problemi e le possibili soluzioni circa le aspettative di tutele economiche e di garanzie professionali avanzate dal Corpo di Polizia Penitenziaria, con l’impegno di percorrere insieme il cammino che abbiamo davanti, sia pur consapevoli della congiuntura difficile per il Paese.
L’incontro dello scorso 28 maggio con le organizzazioni sindacali, che ringrazio per il senso di responsabilità mostrato, si è tradotto nell’avvio di un dialogo improntato al leale confronto ed alla condivisione di obiettivi e priorità. Tra queste ricordo il riallineamento delle carriere che, a tutt’oggi, si sviluppano in condizione di disparità rispetto al corrispondente ordinamento del personale della Polizia di Stato.
Una disparità non giustificata, posto che la Polizia Penitenziaria appartiene a pieno titolo alle cinque forze di polizia con una specializzazione che rende insostituibile il suo ruolo a garanzia della sicurezza e della legalità del Paese. Sicurezza e legalità, custodia e vigilanza, umanità e rieducazione, dunque, sono le parole chiave che declinano gli ambiti delle funzioni e della missione del Vostro Corpo, chiamato ad operare in un contesto emergenziale drammatico come testimoniano ancor più delle cifre del sovraffollamento i dati sui suicidi e sui tentati suicidi.
Ogni atto di autolesionismo rappresenta la spia di un disagio ambientale e personale che le istituzioni non possono mai trascurare. Anche se spesso di fronte a questi gesti di disperazione non resta altro che la vostra determinazione, la vostra tempestività ed il vostro coraggio.
A Voi tutti, donne e uomini della Polizia Penitenziaria giunga il mio plauso e la mia ammirata gratitudine per l’enorme numero di vite salvate nel corso degli anni. Le vostre gesta, anche se non occuperanno le prime pagine dei giornali, siano comunque d’esempio per i colleghi più giovani e costituiscano motivo d’orgoglio della Vostra appartenenza al Corpo.
Ma compito delle istituzioni è non lasciarvi soli a fronteggiare questa situazione. È noto che sulla drammatica situazione che ho appena delineato incidono notevolmente anche le condizioni critiche, l’inadeguatezza e l’obsolescenza delle infrastrutture penitenziarie.
Ed è per queste ragioni che diventa ancora più ineludibile il completamento del piano di edilizia carceraria, come pure il ricorso a possibili permute tra edifici. Non meno meritevoli di attenzione sono le condizioni degli ambienti e degli strumenti di lavoro come caserme e mezzi delle traduzioni, spesso al di sotto degli standard di sicurezza richiesti.
Le cattive condizioni detentive, peraltro, possono essere annoverate anche tra le principali cause di aggressione di cui viene fatto oggetto il personale della Polizia Penitenziaria, sottoposto a forme di stress tipico delle professioni di aiuto. Questioni che non possono essere trascurate ma che al contrario intendo inserire tra le priorità della mia agenda, al fine di individuare forme di intervento concreto per la predisposizione di strumenti idonei a contrastare lo stress da lavoro e le sindromi correlate. Per esperienza conosco bene le pressioni a cui sono sottoposte le donne e gli uomini delle forze di polizia quando devono fronteggiare complesse situazioni di ordine pubblico. Ma è proprio questa la sfida più grande davanti a noi: avviare insieme un mutamento culturale che puntando ad innalzare la qualità di vita dei detenuti migliori anche la vostra qualità di vita professionale.
È un percorso che altri Paesi europei hanno già intrapreso con successo, attraverso un ampliamento degli spazi di socialità, di lavoro, di aggregazione e ricreazione dei detenuti ed un potenziamento dei servizi alla persona, a tutte le persone che vivono la realtà degli istituti di pena. Proprio in tale ottica va l’accordo stipulato tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e l’azienda sanitaria Sant’Andrea di Roma, che ospita il centro di prevenzione dei suicidi: una struttura ad elevato grado di specializzazione, che ha attivato una linea telefonica di ascolto gratuita a disposizione del personale penitenziario, con il supporto di specialisti che offrono sostegno e assistenza, garantendo la protezione della privacy delle persone che ricorrono al servizio.
Mentre rimane aperta, in conclusione, l’annosa questione della “colpa del custode”, tema giuridico che incide sulla tutela dei diritti, ma anche sulla sfera personale dell’agente penitenziario che si sente esposto a responsabilità derivanti in primo luogo da un’organizzazione del lavoro che sconta ognuna delle criticità che ho appena esposto.
Con questo spirito ho avviato fin dai primi giorni del mio mandato una serie di visite negli istituti di pena di tutta Italia che intendo proseguire con assiduità anche nel futuro. Nel corso di questi incontri voglio sollecitare il più ampio coinvolgimento del personale che opera nelle strutture carcerarie per discutere, confrontarci, individuare insieme e da vicino un percorso di cambiamento in cui credo fortemente.
So che potrò contare sulla vostra partecipazione professionale ed umana, così come voglio che sappiate che io sarò sempre al Vostro fianco. Tributare alla Polizia Penitenziaria l’elogio e la gratitudine delle Istituzioni, dei cittadini, del Paese è un atto doveroso, ma ancor più doveroso è assicurare diritti e riconoscimenti tangibili, ed è questo il mio impegno e l’impegno del Governo.
Nella mia prima visita nella sede del Dipartimento ho voluto rendere onore alla lapide che ricorda i caduti del Corpo e dell’Amministrazione Penitenziaria.
Un gesto a cui attribuisco un significato tanto simbolico quanto solenne, perché nella memoria del sacrificio di chi ha immolato la propria vita avendo giurato fedeltà alla Repubblica e alla democrazia, risiede la ragione più profonda del Vostro come del nostro impegno. Viva la Polizia Penitenziaria. Viva l’Italia.
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