Int. a L. Castellano - Io, napoletana, amo Milan dal coeur in man

Napoletana, avvocato, classe 1964, Lucia Castellano ha trascorso gli ultimi vent'anni girando le carceri d'Italia. Come direttrice. Dal Marassi di Genova a Eboli. E poi Napoli, Alghero fino a Milano, dove si è resa protagonista del progetto sperimentale di custodia attenuata nella Casa di Reclusione di Bollate: vera e propria eccezione nel panorama, disastroso e disastrato, delle carceri italiane. Un progetto pienamente riuscito non solo per merito suo, spiega, ma grazie a una squadra formidabile che ha saputo applicare la legge e interpretare la pena come servizio pubblico. Non sarà facile per lei lasciare Bollate, ora che il neo sindaco Giuliano Pisapia l'ha "scarcerata" per affidarle l'assessorato alla Casa, Demanio e Lavori pubblici. Ma Lucia Castellano è emozionata e intenzionata a far bene. «Applicherò i principi che mi hanno sostenuto nel lavoro in carcere» promette, convinta com'è che quella del diritto sia una cultura vincente anche per affrontare la complessa questione abitativa di Milano. La Milano col coeur in man che nove anni l'ha accolta e alla quale è molto grata.
Lucia Castellano, il vento di Pisapia l'ha portata dal carcere alla Casa...
Pisapia mi ha "scarcerata" (ride). Sono molto emozionata e grata al sindaco. Non me l'aspettavo, avevo dato una disponibilità generica che lui ha subito accolto offrendomi un assessorato importante come quello alla Casa, Demanio e Lavori pubblici. Questa giunta ha un grande significato per tutta l'Italia, mi lusinga farne parte e ho voglia di impegnarmi per dimostrare che è possibile far politica in modo diverso. Al tempo stesso tirarmi fuori dal mondo del carcere, dopo vent'anni, è emotivamente molto complicato. È mondo chiuso, pieno di conflitti e tensioni, ma anche dallo straordinario fascino umano.
Pisapia mi ha "scarcerata" (ride). Sono molto emozionata e grata al sindaco. Non me l'aspettavo, avevo dato una disponibilità generica che lui ha subito accolto offrendomi un assessorato importante come quello alla Casa, Demanio e Lavori pubblici. Questa giunta ha un grande significato per tutta l'Italia, mi lusinga farne parte e ho voglia di impegnarmi per dimostrare che è possibile far politica in modo diverso. Al tempo stesso tirarmi fuori dal mondo del carcere, dopo vent'anni, è emotivamente molto complicato. È mondo chiuso, pieno di conflitti e tensioni, ma anche dallo straordinario fascino umano.
Il carcere di Bollate è un modello per l'intero sistema penitenziario, qual è il segreto per rendere efficiente ciò che nel resto d'Italia è causa di disagi e sofferenze?
Innanzitutto prendere la legge e applicarla. Una legge che c'è da ben 36 anni e non da ieri. Poi ha giocato moltissimo la squadra con cui ho avuto la fortuna di lavorare: poliziotti bravi che si sono affezionati al progetto, uno straordinario comandante di reparto e una bravissima vicedirettrice. Persone che hanno creduto nel progetto e spinto per la sua riuscita, a cominciare dal provveditore Luigi Pagano, che l'ha voluto e creato. La sua spinta è stata fondamentale. Il terzo ingrediente è Milano: una città, a differenza di altre, attenta al carcere. Talmente attenta da chiamare il direttore di un carcere che funziona a fare l'assessore. Un gesto simbolicamente significativo.
Innanzitutto prendere la legge e applicarla. Una legge che c'è da ben 36 anni e non da ieri. Poi ha giocato moltissimo la squadra con cui ho avuto la fortuna di lavorare: poliziotti bravi che si sono affezionati al progetto, uno straordinario comandante di reparto e una bravissima vicedirettrice. Persone che hanno creduto nel progetto e spinto per la sua riuscita, a cominciare dal provveditore Luigi Pagano, che l'ha voluto e creato. La sua spinta è stata fondamentale. Il terzo ingrediente è Milano: una città, a differenza di altre, attenta al carcere. Talmente attenta da chiamare il direttore di un carcere che funziona a fare l'assessore. Un gesto simbolicamente significativo.
Durante la campagna elettorale Giuliano Pisapia ha definito San Vittore «un quartiere di Milano»...
Questa funzione civica del carcere appartiene alla cultura milanese, non è così a Napoli o a Roma. Il fatto che Giuliano Pisapia definisca San Vittore un quartiere di Milano significa che c'è un rapporto di vasi comunicanti tra città e carcere.
Questa funzione civica del carcere appartiene alla cultura milanese, non è così a Napoli o a Roma. Il fatto che Giuliano Pisapia definisca San Vittore un quartiere di Milano significa che c'è un rapporto di vasi comunicanti tra città e carcere.
In che modo si realizza questo scambio?
Considerandosi reciprocamente risorse. Basti pensare che più di trenta dei cento detenuti di Bollate impiegati all'esterno lavorano all'Amsa (Azienda milanese servizi ambientali ndr), per esempio, o al canile municipale.
Considerandosi reciprocamente risorse. Basti pensare che più di trenta dei cento detenuti di Bollate impiegati all'esterno lavorano all'Amsa (Azienda milanese servizi ambientali ndr), per esempio, o al canile municipale.
Così si lavora al reinserimento già durante la detenzione...
In questo modo abbiamo abbassato il tasso di recidiva al 12 per cento. Sostenere il reinserimento dei cittadini detenuti ci ha ripagato in termini di sicurezza sociale. Anche grazie a Milano. Ricordo un giorno in cui nevicava da matti e il provveditore mi chiese: «Mi fai uscire cinquanta detenuti per spalare la neve?» e dopo poche ore c'erano cinquanta detenuti fuori che spalavano la neve. Ciò dimostra che non è solo merito mio, ma di una magistratura di sorveglianza attenta, un provveditorato propulsivo, un squadra interna formidabile. Diciamocela tutta, io sono un po' protagonista per natura, il fatto che vada via per dedicarmi ad altro servirà a dimostrare che Bollate è frutto di un lavoro corale. Non un'esperienza legata a me, ma un progetto che l'amministrazione vuole e porta avanti.
Se basta applicare la legge e lavorare di squadra, perché Bollate resta un caso unico?
Tanto per cominciare è necessario distinguere tra Case di Reclusione e Case Circondariali. Quel che si fa a Bollate con i condannati che stanno lì per un periodo che va dai tre anni all'ergastolo è difficile da replicare a San Vittore, dove ogni giorno entrano cinquanta detenuti e ne escono trenta, senza che sia possibile conoscerli. Ma c'è anche un altro aspetto. La cultura della pena è ancora legata all'esercizio di un potere assoluto, alla sopraffazione, all'annullamento della personalità e della capacità di autodeterminazione, non a un servizio pubblico. È una cultura che non considera le persone come esseri pensanti, né come risorse, e che però non ha impedito a Bollate di fare scuola, scuola di cultura penitenziaria. Anche per questo mi dispiace andar via, ma ritengo che la cultura del diritto si possa applicare in qualunque settore quindi anche alla Casa e ai Lavori pubblici. L'utenza va considerata come un interlocutore, pure quando è fatta di "cattivi". Ci sono 1100 persone a Bollate che girano per l'istituto, tra cui autori di reati sessuali che in genere sono ghettizzati, e ci sono 56 donne. Il clima è tranquillo, le stanze di detenzione sono aperte e non succede nulla. E una comunità sicuramente coatta, da cui non si può uscire, ma in cui e garantita tutta la libertà possibile, compatibile con il muro di cinta. Questo è il carcere secondo la Costituzione. È una questione culturale e strutturale. Laddove non è possibile attivare un progetto sperimentale come quello di Bollate si può comunque lavorare sulla dignità.
Tanto per cominciare è necessario distinguere tra Case di Reclusione e Case Circondariali. Quel che si fa a Bollate con i condannati che stanno lì per un periodo che va dai tre anni all'ergastolo è difficile da replicare a San Vittore, dove ogni giorno entrano cinquanta detenuti e ne escono trenta, senza che sia possibile conoscerli. Ma c'è anche un altro aspetto. La cultura della pena è ancora legata all'esercizio di un potere assoluto, alla sopraffazione, all'annullamento della personalità e della capacità di autodeterminazione, non a un servizio pubblico. È una cultura che non considera le persone come esseri pensanti, né come risorse, e che però non ha impedito a Bollate di fare scuola, scuola di cultura penitenziaria. Anche per questo mi dispiace andar via, ma ritengo che la cultura del diritto si possa applicare in qualunque settore quindi anche alla Casa e ai Lavori pubblici. L'utenza va considerata come un interlocutore, pure quando è fatta di "cattivi". Ci sono 1100 persone a Bollate che girano per l'istituto, tra cui autori di reati sessuali che in genere sono ghettizzati, e ci sono 56 donne. Il clima è tranquillo, le stanze di detenzione sono aperte e non succede nulla. E una comunità sicuramente coatta, da cui non si può uscire, ma in cui e garantita tutta la libertà possibile, compatibile con il muro di cinta. Questo è il carcere secondo la Costituzione. È una questione culturale e strutturale. Laddove non è possibile attivare un progetto sperimentale come quello di Bollate si può comunque lavorare sulla dignità.
In questo momento decine di migliaia di detenuti in tutta Italia sono un sciopero della fame per chiedere un'amnistia, come valuta un'ipotesi del genere?
L'abbiamo già fatto nel 2006 con l'indulto e non abbiamo risolto nulla. Non sono contro l'amnistia, credo che i provvedimenti di clemenza vadano utilizzati come prevede la Costituzione. Ma c'è bisogno di una regia importante alle spalle. Serve a poco svuotare il lavandino se non si aggiusta il rubinetto, perché si riempirà di nuovo. La verità è che le persone non dovrebbero proprio finirci in carcere. Il carcere deve essere l'ultima ratio. Nel 2006 il numero di detenuti era sceso a 38mila, ma non abbiamo fatto nulla per evitare che le carceri si riempissero nuovamente, così dopo quattro anni ci siamo trovati nella stessa situazione. Chi ci governa dovrebbe programmare l'utilizzo del carcere.
L'abbiamo già fatto nel 2006 con l'indulto e non abbiamo risolto nulla. Non sono contro l'amnistia, credo che i provvedimenti di clemenza vadano utilizzati come prevede la Costituzione. Ma c'è bisogno di una regia importante alle spalle. Serve a poco svuotare il lavandino se non si aggiusta il rubinetto, perché si riempirà di nuovo. La verità è che le persone non dovrebbero proprio finirci in carcere. Il carcere deve essere l'ultima ratio. Nel 2006 il numero di detenuti era sceso a 38mila, ma non abbiamo fatto nulla per evitare che le carceri si riempissero nuovamente, così dopo quattro anni ci siamo trovati nella stessa situazione. Chi ci governa dovrebbe programmare l'utilizzo del carcere.
Logiche elettorali hanno invece spinto verso un eccesso di penalizzazione...
Basti guardare all'ultimo decreto sui Centri di identificazione ed espulsione. In campagna elettorale non si può parlare di stranieri o di rom, la questione va semplicemente allontanata con il carcere o con i Cie. Finché la detenzione sarà la prima risposta e non l'ultima, la sola elettoralmente compatibile, anche le amnistie serviranno a poco.
Basti guardare all'ultimo decreto sui Centri di identificazione ed espulsione. In campagna elettorale non si può parlare di stranieri o di rom, la questione va semplicemente allontanata con il carcere o con i Cie. Finché la detenzione sarà la prima risposta e non l'ultima, la sola elettoralmente compatibile, anche le amnistie serviranno a poco.
Torniamo al suo nuovo incarico. Quella abitativa a Milano è una questione complessa, cosa si aspetta?
Intanto voglio capire le problematiche, per questo ho subito convocato il sindacato degli inquilini e il presidente dell'Aler. Esiste un problema di incrocio tra domanda e offerta, a fronte di numerosi alloggi sfitti ci sono molte persone sfrattate. C'è li problema della morosità: bisogna capire quanto sia frutto di furbizie e quanto di disagio sociale o povertà. C'è poi il nodo dei quartieri ghetto e della fatiscenza di immobili costruiti negli anni Ottanta. Non intendo fare proclami demagogici, tenterò di applicare quei principi che mi hanno sostenuto nel lavoro in carcere. Ovviamente non perché, come ha dichiarato Carlo Masseroli (ex assessore all'Urbanistica ndr), Pisapia ha scelto me poiché considero i quartieri popolari come delle carceri (ride ancora)! Il mio intento è di gestire il diritto fondamentale alla casa in maniera chiara, trasparente e conforme alla Costituzione.
Napoletana e donna, in una giunta per metà al femminile. Non era una città diffidente, Milano?
E non sono l'unica terrona della giunta! Milano è una città apertissima, anche se si vuol far credere che non sia così. Sono arrivata qui a 38 anni completamente sconosciuta, sola, appena separata e vivevo in carcere. La città mi ha conosciuta, riconosciuta perché ho lavorato e mi ha stimolato a fare sempre meglio. Sono grata a Milano, è la città col coeur in man, anche se non so pronunciarlo in milanese. Ha una lunga tradizione di impegno sociale, solidarietà e anche un modo "manzoniano" di essere cattolica, attenta com'è ai deboli senza essere assistenzialista. La Casa della Carità di don Virginio Colmegna ne è un esempio lampante e, mutatis mutandis, anche l'esperienza del carcere di Bollate lo dimostra.
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