Iniziamo dall'abolizione delle province

Dalla Rassegna stampa

Per un lettore di Libero su quattro la rifondazione del centrodestra deve partire con la motosega in mano e la casta nel mirino. Il combinato disposto di cromosoma liberale e di esasperazione contributiva sembra più forte di ogni altra cosa: di fronte allo Stato più elefantiaco e costoso d'Occidente non ci sono riforma della giustizia o presidenzialismo che tengano.

Impossibile elencare le tante sforbiciate annunciate, architettate e discusse a partire dall'ultima campagna elettorale e poi dimenticate oppure attuate in bemolle durante questa legislatura. A partire dalla mamma di tutti i cavalli di battaglia anti-Casta: l'abolizione delle Province.

«Aboliremo le Province», prometteva nel 2008 il programma dell'allora neonato Pdl; «Cominceremo da subito abolendo le Province nei grandi Comuni metropolitani», giurava da par suo Walter Veltroni, candidato premier del Pd.

L'apocalisse doveva essere, ed è finita col consiglio dei ministri che licenzia un provvedimento all'acqua di rose il cui unico effetto concreto, alla fine, sarà di cambiare nome da Province a "governi di area vasta" o analogo escamotage lessicale.

E le Province non sono che l'inizio: tra comunità montane, consorzi di bonifica e la pletora di enti locali variamente intermedi che affollano il nostro ordinamento c'è solo l'imbarazzo della scelta per iniziare a tagliare.

Idem per il dimezzamento dei parlamentari. Argomento su cui i partiti hanno tanta foga di mostrarsi in prima linea che non c'è sigla che abbia rinunciato a presentare la propria proposta per tagliare il numero di deputati e senatori. Col risultato di ingolfare la commissione Affari costituzionali del Se- nato, dove per mettere ordine tra le otto proposte otto presenti circa la stessa materia, si sta rendendo necessaria l'istituzione di una sottocommissione col compito di condensare gli otto ddl in un testo unico da rimandare in commissione (approvazione definitiva prevista non prima delle calende greche).

E poi c'è il finanziamento pubblico ai partiti. Altro tema sul quale la specialità dei politici è annunciare mirabolanti sforbiciate salvo apparecchiare qualche trucchetto per lasciare tutto come prima. Anche qui la strada sarebbe già tracciata. Basterebbe riprende pari pari la proposta dei Radicali - gli unici che sulla materia possono rivendicare uno straccio di coerenza - in forza della quale il finanziamento ai partiti, da pubblico ed automatico che è, diventerebbe privato e volontario ed il gioco sarebbe fatto. I parti ti trarrebbero il proprio finanziamento da lobby, fondazioni, privati cittadini: il tutto regolato con norme che garantiscano la trasparenza dei bilanci e la pubblicizzazione dei soggetti che finanziano.

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