Giustizia: timori per i recidivi che potrebbero uscire, slitta la legge sulle carceri

Dalla Rassegna stampa

La trattativa tra l'Interno e la Giustizia va avanti ormai da venerdì scorso. Ma l'accordo appare ancora lontano e adesso il "decreto carceri" rischia di saltare. In ballo c'è l'esigenza di "evitare un forte impatto sociale in materia di sicurezza", sottolineata dai tecnici del Viminale illustrando la linea del ministro Angelino Alfano, preoccupato per gli effetti che può avere la liberazione anticipata di migliaia di detenuti. Soprattutto quelli che hanno compiuto reati tali da destare allarme come rapine, lesioni, furti. Da qui la decisione dello stesso Alfano di "stralciare" le nuove norme dal pacchetto che doveva essere portato già domani a Palazzo Chigi.
Adesso bisognerà attendere la mossa di Anna Maria Cancellieri, che dopo l'appello del capo del Stato si era impegnata personalmente a far approvare un provvedimento per lo sfollamento delle celle in vista dell'estate. E appare determinata a procedere, consapevole che la situazione all'interno dei penitenziari sta diventando esplosiva e potrebbe aggravarsi a fronte di un nuovo nulla di fatto. La norma controversa riguarda la modifica dell'articolo 656 del codice di procedura penale che alza da tre a quattro anni il residuo di pena che i detenuti possono scontare a casa o comunque in luoghi alternativi al carcere, il provvedimento riguarda anche i cosiddetti "recidivi qualificati" ed è proprio questo ad aver convinto il ministro dell'Interno sull'opportunità di tirarsi indietro. "Il rischio è che i cittadini non capiscano un simile provvedimento, soprattutto quando si promette di rendere più sicure le città", è il ragionamento che viene fatto in queste ore.
Proprio su questo tasto battono i sindacati di polizia, che in queste ultime ore hanno manifestato la propria contrarietà a un intervento di liberazione dei detenuti, come ribadisce il segretario del Sap Nicola Tanzi, secondo il quale "una parte consistente di coloro che usciranno dal carcere, come avvenuto in passato, tornerà a delinquere con conseguenze pesanti per la sicurezza dei cittadini e per il lavoro della polizia di Stato, che già soffre i tagli alle risorse per la sicurezza". La posizione è netta: "Pur conoscendo i problemi delle carceri e il disagio della polizia penitenziaria, siamo contrari a qualsiasi ipotesi di decreto che anticipi la fine della pena. In Italia quello che manca è proprio la certezza della pena. Siamo piuttosto favorevoli a pene alternative per reati minori che non destino allarme sociale".
Secondo i. calcoli fatti dai collaboratori del Guardasigilli sono circa 4 mila i reclusi che potrebbero uscire con l'approvazione delle nuove norme. Sul totale di 20 mila detenuti in più rispetto alla capienza dei penitenziari, si tratta di un numero esiguo ma, come ha spiegato Cancellieri nei giorni scorsi, "è comunque un primo e importante passo". E rispetto alle perplessità espresse al Viminale è stato fatto notare che le modalità studiate nel decreto consentono un "rilascio prolungato", perché su ogni posizione dovrà pronunciarsi il magistrato di sorveglianza, quindi non ci sarà alcun esodo improvviso, né generalizzato.
Spiegazioni che non sembrano aver convinto Alfano, anche se fino al giorno del Consiglio dei ministri nulla appare scontato. Soprattutto tenendo conto che era stato lo stesso presidente del Consiglio Enrico Letta, la scorsa settimana, a precisare che il decreto carceri veniva soltanto rinviato. E aveva così dato seguito alle indicazioni arrivate dal Quirinale. Si continua a trattare, si prova a mediare consapevoli che in materie così delicate come quella delle carceri e della sicurezza i provvedimenti del governo devono essere condivisi. Dunque si cerca di evitare che il frutto del negoziato sia un disegno di legge, unanimemente ritenuto misura inutile per affrontare l'emergenza sovraffollamento nelle carceri.
Del resto nei giorni scorsi anche il Sappe, il maggiore sindacato di polizia penitenziaria, aveva chiesto di procedere "con riforme strutturali sull'esecuzione della pena e altri interventi quali l'incremento del ricorso alle misure alternative alla detenzione, l'espulsione dei detenuti stranieri", suggerendo di favorire "nuovi circuiti penitenziari permettendo ai tantissimi tossicodipendenti oggi in cella di espiare la pena nelle comunità di recupero, controllati dalla polizia penitenziaria".

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