Giustizia: "Se mi condannano vado in carcere"… Berlusconi all’attacco, Pdl in trincea

Dalla Rassegna stampa

Il Cavaliere a Libero: non farò come Craxi. Poi la smentita: colloquio informale. I "falchi": pronti ad abbandonare governo e aule e ad appellarci alla piazza.
Tramontata la tentazione di chiedere un rinvio alla Cassazione del verdetto finale sulla sentenza Mediaset, sarà solo l’Alta corte eventualmente, domani, a decidere se rimandare di qualche settimana la decisione, o se pronunciarsi subito, chiudendo in un senso o nell’altro un capitolo della storia italiana.
È in questo clima di doccia fredda, di "altalena di emozioni" come la definisce Paolo Bonaiuti visto che nei giorni scorsi si era diffuso nel Pdl un certo ottimismo sulla possibilità di uno slittamento a dopo l’estate del redde rationem per Berlusconi, che è maturata la chiacchierata serale, venerdì a cena, tra il direttore di Libero Maurizio Belpietro e il Cavaliere, ad Arcore.
Una chiacchierata che si è trasformata in intervista - smentita ieri mattina da Palazzo Grazioli perché "si trattava solo di un colloquio informale" - ma pubblicata con grande evidenza sul quotidiano.
Un’intervista che testimonia di un nuovo forte pessimismo tornato a turbare nelle ultime ore il Cavaliere, perché anche se lui stesso si dice certo che la Corte saprà riconoscere la sua innocenza, poi si lascia andare ad uno sfogo pesante: "Se condannato non farò l’esule, come fu costretto a fare Bettino Craxi. Né accetterò di essere affidato ai servizi sociali, come un criminale che deve essere rieducato. Ho quasi 78 anni e avrei diritto ai domiciliari, ma se mi condannano, se si assumono questa responsabilità, andrò in carcere".
Parole che sconquassano il suo partito, vincolato fino ad ora alla consegna del silenzio e dei toni bassi imposti dal collegio degli avvocati, da Coppi e Ghedini, ma anche l’intera politica italiana. Anche perché Berlusconi aggiunge che non staccherà la spina al governo per ritorsione, ma in pratica disegna uno scenario in cui tutto è già scritto: "Non farò cadere Letta, ma sarà il suo partito a farlo. Se venissi condannato, il Pd non accetterebbe di continuare a governare insieme con un partito il cui leader è agli arresti e interdetto dai pubblici uffici".
Tra confessioni di "notti insonni a guardare il soffitto" e ribadite professioni di innocenza, il leader del centrodestra in realtà non dice nulla che non fosse già stato in qualche modo anticipato e sussurrato da chi ne aveva riportato il pensiero degli ultimi giorni.
Ma la rottura del silenzio è suonata di fatto come un avvertimento finale, un ultimatum, una pressione fortissima sulla politica e sulla Corte. Tanto che i suoi avvocati sono saltati sulla sedia, si è deciso di smentire e derubricare la portata delle sue parole e frenare la sfilata di tutto il Pdl che avrebbe voluto dar fuoco alle polveri avendo interpretato l’uscita come il segnale di "al mio via, scatenate l’inferno".
Così sono rimasti solo i big a tenere la posizione, cercando un punto di equilibrio. Fabrizio Cicchitto si è detto ancora convinto che proseguire nell’esperienza di governo sia la cosa migliore, ma ha avvertito che se ci sarà una condanna "tutto potrà accadere". La Biancofiore guida la rivolta dei falchi: senza assoluzione "lasceremo il governo e le Aule", mentre Daniela Santanché - che sempre più spesso passa le sue giornate col Cavaliere - conferma che i toni saranno tenuti bassi fino alla sentenza ma che, se dovesse andare male, "sarebbe un attentato alla democrazia".
Per questo i moderati del Pdl sembrano lanciare l’ultimo, disperato grido di aiuto: "La Cassazione non danneggi il Paese", prega la Gelmini, "un Paese appeso a una sentenza è un cortocircuito democratico" aggiunge la Bernini. E Gasparri conferma che il partito aspetta solo la parola di Berlusconi per agire, e non si dividerà: "A lui andrà il nostro incondizionato sostegno".

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