Giustizia: a Reggio Calabria il Tribunale dei Minorenni sottrae i bambini alle famiglie mafiose, per fermare la violenza

La Bbc, rete informativa del Regno Unito, dedica un ampio articolo all’iniziativa del Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria.
Spezzare il circuito della violenza, sottraendo la trasmissione di "valori” mafiosi da padre in figlio. La Bbc, la principale rete informativa pubblica del Regno Unito, si occupa della Calabria, in un articolo a firma di Alan Johnston dal titolo: "Bambini portati via dalle famiglie mafiose per fermare la violenza”.
"Avevamo bisogno di trovare un modo per rompere questo ciclo che trasmette valori culturali negativi di padre in figlio”, dice al giornalista inglese Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, che ha già collocato 15 adolescenti fuori dal contesto di violenza delle famiglie mafiose.
Nel ricordare come ‘ndrangheta calabrese sia tra maggiori trafficanti di cocaina, il giornalista della Bbc sottolinea che i clan ‘ndranghetistici costruiscano la loro forza proprio attorno ai legami di sangue. A spiegare le dinamiche familiari che strutturano le organizzazioni mafiose, la Bbc ricorre a Antonio Nicaso, tra i maggiori esperti del fenomeno: "C’è un battesimo religioso e un battesimo mafioso”, dice Nicaso.
"Questo significa - aggiunge - che spesso i figli dei boss, in particolare il primogenito, sono predestinati a seguire le orme del padre”. Così come ci sono donne, nate in famiglie mafiose, costrette a sposare figli di altri boss per creare legami di parentela tra clan prima separati. "A testimonianza di ciò ci sono persino delle lettere di madri che scrivono delle loro figlie obbligate a unirsi in matrimonio con uomini che non amano, proprio per allargare il potere della famiglia”, sostiene ancora Nicaso.
A chiarire la portata degli interventi e la determinazione a proseguire, è lo stesso Presidente Di Bella : "Si inizia sempre con un caso che finisce nelle aule dei tribunali. Quando questi bambini vengono accusati di bullismo, di atti vandalici o reati più gravi e le famiglie non fanno nulla, interveniamo noi”. I 15 adolescenti portati via da contesti familiari mafiosi, sono stati collocati in case famiglia, "ma non sono in carcere e possono tornare a casa per le visite”, stabilite dal Tribunale. "Ogni volta che devo togliere un minore in una famiglia - dice ancora il giudice - è una decisione molto difficile”. Ma a volte, è la stessa Corte a non avere altra scelta.
"Il nostro obiettivo - osserva ancora il giudice Di Bella - è quello di mostrare a questi giovani che esiste mondo diverso da quello che in cui cresciuti, con la speranza che, raggiunta la maggiore età, scelgano liberamente di non entrare nel mondo criminale”.
Ma perché provvedimenti del genere siano compiutamente efficaci, occorre coordinare, in maniera incisiva, operatori sociali, psicologi e strutture di accoglienza. Mario Nasone, assistente sociale con esperienza di trattare con "i bambini di ‘ndrangheta”, a questo proposito afferma: "Il Tribunale per i minorenni di Reggio sta esaminando la questione in maniera globale, ma il programma ha bisogno di più sostegno dello Stato”.
Minori allontanati dalle famiglie di mafia per cercare di fermare il ciclo di violenza di Alan Johnston (Traduzione articolo integrale BBC)
Nel Sud Italia un giudice sta aprendo la strada a un programma per aiutare i figli dei boss di mafia a scappare dalla vita criminale allontanandoli dai propri parenti al primo segnale di disagio.
"Abbiamo bisogno di trovare un modo per spezzare questo ciclo che trasmette valori culturali negativi da padre a figlio” afferma Roberto di Bella, presidente del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria, all’estremità dell’Italia meridionale.
Questo è il cuore di una delle più potenti mafie del Paese, una rete criminale conosciuta come ‘Ndrangheta, la più grande trafficante di cocaina in Europa. La mafia è sempre costruita sulla base dei legami di sangue, questo accade soprattutto all’interno della ‘Ndrangheta rendendo i suoi clan particolarmente difficili da penetrare da parte delle forze di sicurezza.
"C’è un battesimo religioso e un battesimo mafioso il quale è confermato quando raggiungi una certa età” afferma Antonio Nicaso che ha dettagliatamente scritto sulle dinamiche delle famiglie di ‘Ndrangheta. "Questo significa che spesso i figli dei boss, in particolare i primogeniti, sono predestinati a seguire le orme del padre”. Le figlie a volte sono costrette a sposare i figli di altri boss, spiega [Nicaso] mettendo insieme clan separati grazie ai legami di sangue.
"Ci sono lettere di donne che scrivono di come le loro figlie sono state costrette a sposare uomini che non amano, solo per estendere il potere della famiglia” afferma Nicaso.
Intorno allo Stretto di Messina la mafia siciliana è stata minata dai cosiddetti "Pentiti”, "quelli che hanno fatto penitenza”, che hanno collaborato con la polizia e fornito informazioni sul resto dei criminali. Ma a confronto i clan di ‘Ndrangheta hanno visto pochi pentiti e i codici di condotta sono semplicemente passati da una generazione a quella successiva.
Negli ultimi anni il Tribunale del giudice Di Bella si è occupato di figli di mafiosi che già negli anni novanta, ancora minorenni, aveva condannato. Così lo scorso anno ha deciso che qualcosa doveva cambiare.
"Come presidente del Tribunale ho preso delle decisioni”, afferma.
Il tribunale ha iniziato a prestare più attenzione ai bambini di note famiglie mafiose tra i 14 e i 15 anni e che avevano "iniziato ad acquisire la mentalità mafiosa”, come indica Di Bella, iniziando con piccoli crimini. Finora circa 15 di questi ragazzi- la grande maggioranza- sono stati allontanati dai loro parenti e collocati in case di accoglienza. Ma non sono in prigione e possono saltuariamente tornare a casa per le visite.
"Tutto ciò inizia sempre con un caso giudiziario”, spiega Di Bella, "quando questi ragazzi vengono accusati di bullismo o atti di vandalismo contro macchine anche delle forze dell’ordine, e la famiglia non fa nulla, allora interveniamo noi.
"Ogni volta che sono chiamato ad allontanare un minore dalla famiglia la decisione è difficile, devo emettere un doppio giudizio”. Ma, precisa, il Tribunale conclude che non vi sono altre soluzioni. "Il nostro obiettivo è dimostrare a questi giovani una realtà diversa da quella in cui sono cresciuti. Se sei un ragazzo il cui padre, zio o nonno è mafioso, allora non c’è nessun altro che può stabilire le regole ma noi gli forniamo un altro contesto”.
La speranza è che quando il ragazzo sarà libero di tornare definitivamente a casa, a 18 anni, sceglierà di non entrare a far parte della malavita.
Non è la prima volta che giovani con famiglie problematiche sono stati posti sotto tutela. La novità è la determinazione di Di Bella ad intervenire in anticipo e di coordinare più da vicino assistenti sociali, psicologi, per dare ai ragazzi un nuovo inizio.
Il programma è ancora descritto come "sperimentale” e "in evoluzione”, ma Di Bella si aspetta che nei mesi e negli anni a venire molti altri minori vengano allontanati dalle famiglie mafiose calabresi e che il programma venga replicato altrove in Italia.
L’iniziativa è stata accolta con favore da Mario Nasone, assistente sociale con esperienza in merito ai bambini di ‘Ndrangheta. Il tribunale per i minorenni sta esaminando la questione in maniera globale per la prima volta, dice - ma aggiunge che il programma ha bisogno di maggiore sostegno statale. "Abbiamo bisogno di realizzare un network in cui possiamo garantire che questi bambini andando a casa abbiamo una sorta di "disintossicazione culturale”, dice.
I boss di mafia che Nasone e i suoi colleghi visitano in cella sono consapevoli della nuova determinazione delle autorità nell’intervenire in famiglie come le loro. "C’è un certo livello di preoccupazione,” afferma Nasone, "ma dobbiamo parlare con loro, renderli responsabili. Devono comprendere che non possono con l’impunità fare ciò che vogliono con i propri figli e crescerli come mafiosi. Noi non possiamo permetterlo”.
Nasone ha visto personalmente che con il giusto approccio i giovani possono essere indirizzati lontano dalla vita criminale.
Ci racconta la storia di un ragazzo di sedici anni con cui ha lavorato in un centro di detenzione. Quando era arrivato il momento di lasciare il carcere, sua madre disse che doveva tornare in famiglia per prendere il posto del padre mafioso che era stato ucciso. "Tu sei con noi o con loro”, spiegò, riferendosi al mondo della ‘Ndrangheta. "Scelse e andò via a Milano”, dice Nasone. "Gli trovammo un lavoro ma abbiamo dovuto tagliare i contatti con la sua famiglia e questa non è una scelta facile”
Come i bambini vengono introdotti nei clan
Così come i membri di una famiglia la ‘Ndrangheta avvicina i minori ai margini del clan e li porta nei propri ranghi. "[i mafiosi] vanno nei vicinati alla ricerca dei più forti, dei giovani più coraggiosi, e scelgono i migliori” spiega Antonio Nicaso. Per un po’ questi bambini seguono un periodo di apprendistato criminale.
"Vengono seguiti per dimostrare se sono meritevoli di fiducia, dopo vengono presentati al boss e chi si occupa della presentazione si assume anche la loro responsabilità. Fanno credere ai minori che la ‘Ndrangheta sia un organizzazione composta da persone speciali, con il culto del rispetto e dell’onore”.
E c’è anche una cerimonia di iniziazione. Il giuramento comporta il taglio del dito del nuovo arrivato. Il loro sangue viene lasciato cadere su una foto di San Michele Arcangelo che i mafiosi di ‘ndrangheta considerano come loro patrono. "Mettono a fuoco l’immagine e la stringono in mano mentre brucia dicendo ‘Prometto di essere fedele a questa organizzazione e se dovessi tradirla brucerò come questo Santo”.
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