Giustizia: quei figli con i padri in carcere… una pena accessoria per gli innocenti

A volte mi capita di sentirmi rimproverare da clienti e assistiti: “lei non può capire”. E per quanto io abbia tentato negli anni di affinare la mia capacità di provare e dimostrare empatia, hanno spesso ragione loro. Io non posso capire, non completamente.
Ci sono dolori, esperienze, distacchi che fortunatamente mi sono stati risparmiati. E quindi, quando ascolto le storie di chi mi siede di fronte, posso solo intuire il bagaglio di sofferenza che si sono caricati fin qui. Posso solamente immaginare cosa si provi a non vedere tornare a casa un figlio, un marito, un padre. L’ansia che ti attraversa mentre chiami o ti chiamano in questura o in commissariato per ricevere notizie di un congiunto fermato.
O peggio quando agenti, non invitati, bussano alla tua porta per perquisire la casa o portarti via un affetto. Non posso capire, ma immagino. E intuisco nei racconti di tre donne, tra loro sconosciute e differenti per età e origine, la stessa protettiva disperazione alla base del medesimo commuovente inganno che trasforma, a beneficio dei figli, la visita al padre detenuto in un’avventura di spionaggio. Così i bimbi di queste tre donne che si sono visti portare via i padri da divise sconosciute, possono inventare, per il genitore lontano, una vita vincente.
Il carcere diventa un quartier generale, il padre una specie di James Bond e le guardie sono agenti incaricati di proteggerlo e obbedirgli. La fantasia di queste mamme intelligenti riesce forse a difendere i figli più piccoli dall’impatto col carcere, ma di certo nulla può contro l’oggettiva miseria di quel luogo e lo strazio dei saluti e del distacco. È la pena nella pena. Ed è una pena anche per gli innocenti.
Si discute, in questi giorni in cui stanno approvando l’ennesimo decreto “svuota-carceri”, all’indomani di una decisiva e non isolata condanna all’Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo per il trattamento “inumano e degradante”, al quale sono sottoposti i detenuti nelle nostre carceri, sull’efficacia e il senso di pene detentive e afflittive per alcune tipologie di reati (ad esempio il consumo di droga).
Antigone, insieme a moltissime altre associazioni, sta raccogliendo firme per presentare tre proposte di legge ad iniziativa popolare per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario. Quando mi trovo a fermare passanti per raccogliere le firme, alcuni sono ben informati e consapevoli dell’illegalità delle nostri luoghi di detenzione magari perché operatori del settore oppure perché hanno avuto affetti reclusi.
Altri invece, si rifiutano con aggressiva ottusità, di riflettere sull’argomento. “Tutti in galera”, oppure “dovrebbero ripristinare la pena di morte”, questi i loro slogan di battaglia. Quando si chiede “ma tutti, chi?” non sanno rispondere e ripetono “Tutti”.
Il tema del carcere nel nostro paese viene affrontato spesso, come molti altre questioni nevralgiche, con spirito da tifoseria calcistica (con tutto il rispetto dovuto ai tifosi seri). Ma quando si vedono, o si immaginano, esseri umani rinchiusi diciotto ore al giorno in venti metri quadri con altri otto sconosciuti, in balia del caldo, del panico, della sporcizia, del vuoto e della rabbia propria e altrui, quando li senti ripetere l’ineccepibile paradosso “questa prigione è illegale”, la comprensione si rafforza.
Se poi tra i detenuti ci sono degli affetti l’empatia si fa insopportabile. Michel Foucault già nel 1975 sosteneva, in “Sorvegliare e punire” che “la prigione fabbrica indirettamente dei delinquenti facendo cadere in miseria la famiglia del detenuto”. Nessuno vuole un paese abitato da miseria né da delinquenti, neppure il signore urlante “tutti in galera”.
Hanno ragione i miei clienti, bisogna provare a capire. E per provare a capire si può leggere la rivista “Area di servizio” (distribuita gratuitamente nelle biblioteche o sul sito www.carcereliguria.it) redatta da un gruppo di operatori, volontari e detenuti che cercano di descrivere la vita reale dentro le mura di una prigione.
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