Giustizia: i poveri vanno in galera, i ricchi possono ricattare e oltraggiare impunemente

Immaginiamo che al momento in tutti gli istituti penitenziari d’Italia ci sia una vero “dibattito” sulla differenza dell’esecuzione e funzione della pena a seconda che trattasi di “poveri disgraziati” così come molti di loro si avvertono, oppure di ricchi ex Presidenti del Consiglio Nazionale di un Paese civile com’è ritenuta l’Italia che riesce a “ricattare” il Paese prospettando la crisi.
Un Paese ove l’oltraggio e il rispetto al pubblico ufficiale non si sa più che cosa siano, dove i politici ritengono di potere amministrare anche la giustizia. Un Paese dove in galera vanno solo i poveri.
E tutto questo accade in un momento in cui non si possono più chiudere gli occhi sulle condizioni di vita all’interno delle carceri, un momento in cui l’emergenza detentiva ha già raggiunto il suo culmine consentendo al detenuto di percepire lo Stato come nemico anziché come garante della vita civile anche delle istituzioni carcerarie.
E tanto accade con il pericolo di rafforzare l’appartenenza all’illegalità come scelta di campo, come - rafforzamento della propria esclusione sociale. Riteniamo sia gravissimo dovere constatare che la prospettiva pedagogica che lo Stato è chiamato a porre in essere, si risolva esclusivamente in provvedimenti tampone, in gesti di clemenza come l’amnistia e l’indulto e non con i progetti sanciti dal Codice dell’Ordinamento Penitenziario.
Scriveva Valentina Ascione qualche tempo fa che “quasi tutti i desideri del povero sono puniti con la prigione”! E che prigione! Un detenuto non vorrebbe vivere a Palazzo Grazioli per godere di “lussi che non mi appartengono” ma per essere l’ultimo servo dei camerieri pur di mandare a casa i soldi per il pane.
Da tempo è cresciuta l’esigenza di stabilire una rete di contatti fra il carcere e il territorio che possa contribuire al reinserimento sociale del detenuto e da tempo si lavora con entusiasmo da parte della società civile senza altrettanta considerazione da parte delle istituzioni. La situazione nelle carceri italiane è sempre più insostenibile, le lentezze della giustizia e il sovraffollamento stanno sempre più mortificando la dignità delle persone, aumentando il senso di risentimento dei detenuti verso lo Stato.
Stato oramai percepito, da tempo, come nemico anziché come regolatore della vita civile. Il pericolo fortissimo attiene al rafforzamento dell’appartenenza all’illegalità come scelta e come rafforzamento della propria esclusione sociale. È strano che dopo oltre 30 anni dalla civilissima riforma penitenziaria si debba disquisire ancora sulla sua necessaria applicabilità e si debba assistere per avere sconvolgimenti ed eventuali favoritismi non degni di quel Paese civile che è stata l’Italia.
Da oltre trent’anni dal varo della riforma penitenziaria ci troviamo ancora a riflettere sui significati e sulle modalità dell’esercizio della punizione legale e sui percorsi di reinserimento sociale senza avere ancora la certezza della sua applicazione e la certezza della qualità e quantità dei servizi necessari per affrontare e risolvere il problema.
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