Giustizia: nelle carceri celle aperte di giorno, vita in comune e maggiori responsabilità

Dalla Rassegna stampa

Celle aperte di giorno e vita in comune, più responsabilità e meno umiliazioni. Mauro Palma è stato di recente nominato dal ministro della giustizia Anna Cancellieri presidente della Commissione per gli interventi in materia penitenziaria . Per anni ha ricoperto il ruolo di presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e oggi sempre in quel di Strasburgo ricopre le funzioni di vicepresidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale.

D. Qual è il mandato preciso della Commissione da lei presieduta?
R. Nel decreto istitutivo si fa riferimento innanzitutto alla ricognizione delle criticità strutturali del nostro sistema detentivo (tra le quali il sovraffollamento è soltanto una e non certamente l’unica) che sono state recentemente oggetto di condanne da parte della Corte europea per i diritti umani. La seconda finalità della Commissione, esplicitata nel decreto, è quella di elaborare nuovi modelli di gestione delle risorse materiali e del personale nella direzione di potenziare una visione del carcere che non si limiti alla custodia, ma che abbia un progetto di reinserimento sociale chiaramente perseguito.
La terza, infine, è di rimodulare piani e progetti avviati - mi riferisco, in particolare, al più volte redatto e mai significativamente risolutivo, piano carceri - in linea con le raccomandazioni europee e con la necessità di prevedere percorsi diversi per soggetti detenuti diversi. Come si vede si tratta in sostanza di riprogettare la logica del carcere e di non richiudersi in un approccio strettamente di espansione edilizia, di aumento di posti letto. Del resto la commissione deve operare in parallelo con altri gruppi di lavoro che devono mettere a punto provvedimenti legislativi per diminuire la “carcerizzazione” anche di chi ha commesso reati minori e per favorire percorsi alternativi di ritorno alla società.

D. Cosa si può fare a legislazione invariata e senza aggravi di spesa?
R. Ben più di quanto non si creda. Si può iniziare innanzitutto a riportare le celle a luoghi dove si va a dormire - così come afferma lo stesso Regolamento penitenziario- e non a luoghi dove si trascorre tutta la giornata nella deprimente apatia. Le celle vanno aperte e va proposta ai detenuti, durante la giornata, una serie di occasioni di responsabilizzazione, di organizzazione del proprio tempo, di attività, di ricostruzione dì una capacità di gestione della loro stessa vita collettiva.
Questo comporta anche rimodulazione degli spazi e, quindi, anche una quota di risorse finanziarie; tuttavia tali risorse non mancano se si utilizza una parte di quelle altrimenti previste semplicemente per costruire sequenze di celle, immobili nella loro concezione e inutili per svolgere una qualsiasi vita interna meno piatta e deprimente. Inoltre vanno aumentate le occasioni di contatto costruttivo con l’esterno, non in una logica assistenziale bensì in una logica di costruzione del proprio futuro. In sintesi si possono fare molte cose nella direzione di ridare futuro anche a chi ha commesso errori. Ricordiamoci che la pena toglie la libertà, ma non può togliere il futuro. A nessuno, altrimenti è una variante incruenta, ma crudele, della pena capitale.

D. Come mai dal 2010 - anno della dichiarata emergenza governativa - ad oggi, si è aspettato tanto per procedere con più determinazione sulla via della deflazione carceraria?
R Credo che nel complesso la dichiarata emergenza sia stata declinata in un’ottica da magazziniera che deve mettere tutte le merci in qualche posto: deve stiparle. Non certo in un’ottica di ripensamento complessivo.

D. Come giudica il decreto legge di recente approvato?
R Lo giudico positivamente anche se riconosco che ancora molto deve essere fatto. Qualcuno ha osservato che anche un lungo percorso, anche un antico pellegrinaggio, inizia con un primo passo. Mi riferisco, in particolare, alla rimozione di quell’assurda legge di qualche anno fa che, per compensare il rischio di essere letta come permissiva perché aveva ridotto la prescrizione, aveva parallelamente introdotto ostacoli quasi assoluti alla possibilità di accesso alle misure alternative per i recidivi, qualunque fosse il reato commesso.

D. Quali sono le urgenze del sistema penitenziario?
R Oltre alla grande riforma del codice penale, va ripensato il carcere. Le persone non vanno retrogradate a infanti che devono chiedere l’autorizzazione anche per corse minime. Il carcere deve essere un luogo dove si esperimentano le difficoltà di una vita collettiva nel rispetto di una scrupolosa legalità.

D. Lei per anni ha presieduto il comitato europeo contro la tortura e ora è vicepresidente del consiglio europeo per l’esecuzione penale, come spiega che in Italia non si riesce a codificare il delitto di tortura?
R. Per un retro-pensiero di fondo che prevederlo significhi ammettere l’esistenza di episodi di tortura nei propri luoghi di privazione della libertà. Molti pensano di “tutelare” così chi opera in tali luoghi, dalle forze di polizia agli agenti penitenziari. Si tratta di una visione miope perché purtroppo episodi gravissimi - fortunatamente rari - esistono e sono stati dichiarati con il loro nome “tortura” da parte di chi li ha indagati e a volte anche da parte degli stessi giudici.
In secondo luogo perché credo che le forze di polizia nel loro complesso siano più avanti di quanto non creda chi ritiene di difenderle in questo modo: proprio i molti che operano correttamente possono tranne vantaggio dalla capacità di isolare chi invece abusa del proprio potere, peraltro con uno dei più odiosi crimini, il maltrattamento di colui di cui sei custode. Inoltre, questa cultura opaca del reato che c’è in tali fatti, ma non c’è nel codice, costruisce di fatto una percezione d’impunità che certamente non aiuta nel costruire la fisionomia delle forze dell’ordine in una democrazia.

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