Giustizia: l'Italia... in attesa di giudizio

L’Italia attende il 28 maggio. Quel giorno si saprà se le carceri del nostro Paese, che Marco Pannella chiama le "moderne catacombe", continueranno a essere illegali. Con la sentenza Torreggiani la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’8 gennaio del 2013, ha condannato l’Italia per le condizioni dei detenuti e l’eccessiva durata dei processi. La sentenza nasce dal ricorso fatto da sette detenuti contro lo Stato italiano per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, che proibisce i trattamenti inumani e degradanti. I detenuti italiani vivono per circa 22 ore al giorno in una cella, in meno di tre metri quadrati a persona. Una condizione disumana che nasce dal sovraffollamento. Nelle carceri italiane ci sono 66 mila detenuti su una capienza regolamentare di 47 mila. Centoquaranta detenuti su cento posti, il 40 per cento dei quali è in attesa di essere giudicato. Cosa succederà il 28 maggio? Scadrà la sospensione di altri 3.000 ricorsi già presentati alla Corte europea e l’Italia rischia una multa miliardaria. Non solo. Il giudizio dell’Europa sulle nostre carceri è chiaro: è costantemente violato lo stato di diritto e bisogna ripristinarlo il prima possibile. Sulle ricette per risolvere l’emergenza carceraria si spaccano quotidianamente partiti e società civile. Per alcuni bisognerebbe costruire nuove strutture. Per altri invece c’è un’unica strada, quella dell’amnistia. "L’amnistia è certo una misura emergenziale - dice la Garante dei detenuti della Campania Adriana Tocco - però di fronte a un’urgenza come l’imminenza della condanna dell’Unione europea potrebbe essere un primo provvedimento". Una misura che, per Tocco, sarebbe più efficace se fosse realizzata rispetto ai reati commessi e non agli anni da scontare. L’idea è quella di far rientrare nell’amnistia coloro che sono stati condannati sulla base di leggi come la Fini-Giovanardi sulle droghe o la Bossi-Fini sull’immigrazione. Un quarto della popolazione carceraria è, infatti, composta da tossicodipendenti e un terzo da stranieri. Per i favorevoli all’amnistia bisogna innescare un ripensamento sull’eccessiva penalizzazione dei reati. "Abbiamo vissuto un periodo in cui c’è stato un processo di cancerizzazione - afferma la Garante dei detenuti - ma il carcere non è l’unica pena possibile". Esistono le cosiddette misure alternative alla pena, a cui in Italia si fa ricorso sempre meno, nonostante la recidiva dei soggetti che hanno scontato la detenzione con pene alternative sia minore: il 19 per cento rispetto al 68 dei detenuti normali. Recentemente la commissione Libertà civili, Giustizia e Affari Interni del Parlamento europeo ha invitato l’Italia a risolvere il problema della giustizia partendo da: custodia cautelare, pene alternative, garante dei detenuti e reato di tortura. Il monito dell’Unione europea non riguarda solo il sovraffollamento carcerario, ma anche lo stato di salute dei detenuti, che troppo spesso non vengono curati, e la mancanza di strumenti di reinserimento sociale. Nelle carceri come fuori dalle sbarre manca il lavoro, sono rare attività come corsi di lettura e formazione, oggi ne usufruisco in pochi e a rotazione. Non ci sono neppure momenti per socializzare. L’ora d’aria è ridotta a un paio d’ore. Tuttavia, recentemente è stata istituita la sorveglianza dinamica: i detenuti possono stare con le celle aperte per 24 ore al giorno.
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