Giustizia: l’effetto allucinogeno della Fini-Giovanardi

Dalla Rassegna stampa

Un detenuto su tre è finito dentro per la legge antidroga, voluta dal governo Berlusconi. Che equipara le droghe leggere alle pesanti e punisce il consumo con sanzioni amministrative. E che ha portato a 120mila arresti in 7 anni.
Le carceri italiane esplodono, è risaputo. Meno, forse, lo è che dei 66mila detenuti più di un terzo sono “finiti dentro” per reati connessi alla legge antidroga. E che nell’ultimo anno tra chi ha varcato la soglia delle patrie galere uno su tre è un tossicodipendente, o comunque un consumatore di sostanze stupefacenti. Eppure la questione non è annoverata tra le priorità dell’agenda politica. Anzi, in barba agli allarmi sul sovraffollamento carcerario, la delega alle politiche antidroga non è ancora stata assegnata ad alcun ministro “di larghe intese”. Spetterebbe - in continuità con la scelta del governo Monti, al ministero dell’Integrazione, Cécile Kyenge, la quale non ha però ricevuto il passaggio di consegne dal predecessore
Andrea Riccardi. La nuova ministra, interpellata da left, preferisce non esprimersi in merito, “per non alimentare polemiche”. Intanto il posto continua a rimanere vacante e il dipartimento Antidroga continua a non avere un riferimento politico. Mentre circolano indiscrezioni circa un possibile trasferimento della delega al Viminale, retto da Angelino Alfano. Sarebbe un segnale chiarissimo: la “guerra alla droga” è solo una questione di ordine pubblico. Non la pensa così Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele: “Da anni ormai la tossicodipendenza è stata definita dall’Organizzazione mondiale della sanità alla stregua di una malattia. Ma nell’indifferenza a trovare soluzioni ci sta pensando il carcere”.

La legge della discordia

In materia di antidroga a dettare le regole è la legge n. 49 Fini-Giovanardi, approvata nel 2006, che equipara droghe leggere e pesanti, reintroduce il limite quantitativo tra uso personale e spaccio e inasprisce le pene: da 6 a 20 anni di reclusione senza distinzione tra le sostanze. Poco importa che sia un etto di eroina o dieci grammi di hashish. “Se l’obiettivo era quello di riabilitare le persone dipendenti con lo spauracchio del carcere non è stato raggiunto”, continua Grosso. “L’autoritarismo paternalistico di questa legge si è rivelato un’illusione”. Critiche e proposte alternative alla Fini-Giovanardi fioccano da più parti. Mentre manca meno di un anno “all’ora X”, e cioè maggio 2014 quando l’Italia dovrà ottemperare agli obblighi imposti dalla Corte europea per i diritti umani sulle condizioni carcerarie.
Rischiamo una multa milionaria. E il carattere repressivo della legge antidroga contribuisce di certo al sovraffollamento carcerario: 120mila arresti in 7 anni, in soldoni, è come se l’intera popolazione della Valle d’Aosta fosse finita dietro le sbarre. A popolare le patrie galere sono soprattutto consumatori e piccoli spacciatori: per detenzione sono stati circa 19mila gli arresti nell’ultimo anno. Mentre per traffico illecito gli arresti nello stesso anno sono stati solo 250, per un totale di 761 carcerati. “È chiaro che questa legge è stata creata per colpire i pesci piccoli”, denunciano gli autori del Quarto libro bianco sulla Fini-Giovanardi, presentato dal Forum anti droghe. Interpretazione che trova conforto nell’aumento delle sanzioni amministrative, più che raddoppiate dal 2006 al 2011. Ma è ponendo la lente di ingrandimento sulla cannabis che l’impatto punitivo sul consumo si fa evidente, sempre secondo il libro bianco solo lo scorso anno le segnalazioni alle prefetture per uso personale di cannabinoidi sono state il 75,8 per cento del totale.

Mano “pesante” sulla cannabis

La cannabis è una droga assai familiare per il nostro Paese: il 21 per cento degli italiani tra i 15 e i 64 anni ha fumato uno spinello almeno una volta, come testimonia la relazione parlamentare 2012 sulle tossicodipendenze. Una droga in Italia ancora illecita, ma frequente quasi come quelle legali, come alcool e tabacco. E che sul piano degli effetti nulla ha a che vedere con le droghe pesanti, tipo cocaina o eroina. Eppure la Fini-Giovanardi ha usato la mano pesante contro i peccati veniali: da 6 a 20 anni di reclusione. Mentre in precedenza per la cannabis la pena prevedeva da 2 a 6 anni.
“Equiparare la cannabis alle droghe “pesanti” è un errore clamoroso” secondo Carlo Alberto Zaina, avvocato penalista esperto di reati connessi all’uso di stupefacenti. “È scientificamente provato che si tratta di un’equiparazione erronea Non si possono punire allo stesso modo schiaffi e coltellate”. Sul piano penale, poi, il legale non ha dubbi: “L’assunzione di cannabis per uso personale non crea allarme sociale, perciò non dovrebbe esserci alcuna sanzione né penale né amministrativa. La lotta va fatta a chi traffica e spaccia, non agli assuntori”.
La Fini Giovanardi crea anche alcuni paradossi, stupefacenti sarebbe il caso di dire. Spiega Zaina: “Se compri 10 grammi di cannabis o hashish in strada da un pusher, probabilmente non verrai punito. Perché se sei incensurato e se dimostri la tua disponibilità economica, verrai riconosciuto come un consumatore e prosciolto.
Eppure alimenti i profitti del mercato criminale. Se invece coltivi due piantine a casa tua verrai considerato un criminale e quindi sarai condannato. Eppure non hai contribuito ad alimentare le mafie”. Ecco perché “la Fini-Giovanardi va abolita”, conclude l’avvocato. “Non tanto perché manda più gente in galera ma perché è sbagliata concettualmente. Fa acqua da tutte le parti”.

Sulla soglia dello spaccio

E chi decide la distinzione tra spacciatore e consumatore? Una semplice tabella La legge prevede tre diversi reati: detenzione illecita (art. 73), traffico illecito (art. 74) e uso personale (art. 75), che si risolve con una sanzione amministrativa.
Eppure un referendario del 1993 era stato molto chiaro: detenere stupefacenti per uso personale non è reato. Le soglie dei reato sono definite con precisione: 1,7 grammi di eroina, corrispondente a 10 dosi; 6 grammi per la cocaina, pari a 5 dosi; 5 grammi lordi pari a 15 spinelli. “Parametri ragionevoli”, li aveva definiti l’allora ministro Carlo Giovanardi. Mica tanto, se si calcola il numero di consumatori arrestati.
Se la quantità di sostanze posseduta è solo leggermente superiore alla soglia, il giudice può fare uno sconto di pena: da 1 a 6 anni di reclusione (invece che da 6 a 20). Si chiama “lieve entità”, ed è un’attenuante difficilmente concessa dai giudici. Se un tossicodipendente viene condannato a una pena inferiore a 6 anni, può usufruire di misure alternative al carcere, cioè può sottoporsi a un programma terapeutico presso un servizio pubblico o una comunità autorizzata. O può svolgere un “lavoro di pubblica utilità”.
Peccato, però, che nel Codice ci sia ancora la cosiddetta legge ex Cirielli del 2005, che ha impedito ai recidivi di avvalersi delle misure alternative al carcere. E, si sa, i tossicodipendenti sono i recidivi per eccellenza. Ma neppure le sanzioni amministrative sono uno scherzo: si va dalla segnalazione al prefetto alla sospensione della patente. Fino, in caso di recidiva, all’obbligo di presentarsi negli uffici di polizia, al controllo di rientro e uscita da casa, il divieto di frequentare determinati locali pubblici, l’obbligo di residenza

Oltre la Fini-Giovanardi

Modificare la legge antidroga è uno degli obiettivi della campagna referendaria “3 leggi per la giustizia e i diritti”, promossa da numerose associazioni. Come? Depenalizzando il consumo, riducendo l’impatto penale e destinando i tossicodipendenti a programmi alternativi.
Le proposte non arrivano solo dal basso. C’è anche un’iniziativa parlamentare, promossa da Daniele Farina, ex leader del Leoncavallo di Milano, oggi deputato di Sel: “Il mondo cambia, è alla ricerca di una strategia nuova, e noi continuiamo a utilizzare la cassetta degli attrezzi ideologica formulata con i paraocchi da Giovanardi”. Eppure qualcosa in questa legislatura si muove, assicura Farina “Lastra-da è in salita ma il clima è cambiato, c’è attenzione sull’argomento.
Adesso bisogna riuscire a esercitare una pressione sul governo, per andare in una direzione diversa da quella che vorrebbe Alfano”. Insomma per usare le parole di Leopoldo Grosso “la soluzione è depenalizzare. Ma ciò vorrebbe dire cambiare la leggo, ed è difficile riuscirci in tempi brevi. Intanto, si può intervenire sui processi applicando le misure alternative al carcere.
E su questo si è presa la giusta direzione”. D decreto Cancellieri contiene almeno un provvedimento giusto: togliere il vincolo della recidiva, che “sarebbe già un gran passo avanti”, conclude il numero due di Don Ciotti. In attesa di altri passi si attende la sentenza della Consulta sull’incostituzionalità della Fini-Giovanardi, proprio la Corte potrebbe indicare la via d’uscita dall’impasse.

La legge Fini-Giovanardi è anticostituzionale

E se la Fini-Giovanardi, che da anni riempie le carceri italiane, fosse anticostituzionale? Dall’inizio dell’anno il dubbio sul decreto legge che ha aumentato le pene per il possesso di stupefacenti, cancellando la differenza tra droghe leggere e pesanti, è stato sollevato dalle difese in diversi processi e accolto dai giudici. Dalla Corte di Appello di Roma alla Cassazione. La motivazione è sempre la stessa: vizio procedurale.
La Fini-Giovanardi, infatti, è stata varata all’interno del cosiddetto “decreto Olimpiadi”. Ma cosa ha a che vedere l’inasprimento delle pene per chi fuma marijuana con le “misure urgenti per la sicurezza e i finanziamenti” delle Olimpiadi? Manca, è la tesi che sta rimbalzando di aula in aula, il requisito costituzionale della
coerenza interna. E non solo. Per ammissione dello stesso Giovanardi, quella riforma era all’attenzione del Senato da quasi tre anni. Difficile quindi sostenere che fosse motivata da un’improvvisa urgenza. “Se la Corte ci desse ragione - commenta l’avvocato Alessandro Gamberini - sarà travolta l’intera legge, perché ne viene messo in discussione il fondamento procedurale. La Corte smaschera il metodo piratesco per cui si infilano cose che non c’entrano niente in decreti che hanno un’altra funzione e urgenza”. Certo, per Gamberini la vera colpa della norma contestata è “l’aver rotto la distinzione tra droghe più o meno criminogene, che andava invece aumentata”. Pure Al Capone, però, fu fermato su un semplice dettaglio.

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