Giustizia: Gloria Manzelli (Direttore San Vittore); decreto sacrosanto, perché usciranno i poveracci

Dalla Rassegna stampa

Le celle di San Vittore scoppiano di detenuti, anche ottantenni. Gloria Manzelli da 9 anni dirige la struttura e commenta: “Questa è la mecca dell’emarginazione e dell’emergenza sociale”.
Chissà perché gli ultimi due direttori di San Vittore vengono da città di mare. Forse perché soltanto chi da bambino si è riempito gli occhi di orizzonti infiniti di libertà può sopportare anni di prigionia in una follia di carcere com’è oggi quello che sorge nel cuore di Milano. Perché l’attuale direttore Gloria Manzelli, da Rimini, come il suo predecessore Luigi Pagano, da Napoli, sono in qualche modo i primi detenuti di quelle mura, di quell’inferno che hanno dovuto imparare ad amare e a domare.
Manzelli è donna altissima e pacata. Come stare davanti a un vaso dell’800 che nasconde un’eroina alla Blade Runner. “Qui sono entrata tremando” racconta. “Poi ogni giorno capisci che questo carcere è un reality dove ogni sentimento, ogni orrore, ogni assurdità ti fa vivere cento vite”.
Nella sua prima vita Manzelli era approdata a San Vittore nel 1991, come braccio destro di Pagano, poi ha diretto la prigione di Lodi e ancora quella di Brescia, fino a salire sulla plancia di comandante della casa circondariale milanese di via Filangieri. “Un mestiere da uomo? Ma se ormai siamo quasi tutte donne” scherza. “Compresa la mia amica Lucia Castellano, a Bollate. Giacinto Siciliano resiste ancora a Opera...”.
Ma subito la direttrice torna a quell’Alien che prolifera da anni nelle carceri e che le divora: il sovraffollamento. L’Italia conta circa 67 mila detenuti, mentre la capacità delle nostre prigioni arriva al massimo a 45 mila. Carceri come furie di corpi e di dolore, ha detto il presidente Giorgio Napolitano in una recente visita. Tanto che è arrivato al varo l’atteso decreto “svuota-carceri”. Decreto peraltro assai discusso: permetterà a chi abbia pene inferiori ai 4 anni l’affidamento in prova ai servizi sociali.

Lei che cosa pensa del decreto “svuota-carceri”, dottoressa Manzelli?
Andiamo per ordine. Intanto il nome: il termine svuota-carceri è fuorviante. Pare l’annuncio funebre per lo svuotamento di una discarica umana. Il messaggio che arriva è: cari italiani, metteremo in libertà qualunque mascalzone e via. Io credo invece che ciò che il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri voglia fare abbia contenuti molto diversi. Niente accadrà per chi ha condanne per delitti gravi: terrorismo, mafia, traffico di droga, violenza sessuale di gruppo. Niente per tutti i delinquenti abituali e professionali, insomma.

Partiamo dai tossicodipendenti. Il decreto dice che soltanto quelli che non hanno a che fare con reati strettamente legati alla droga, quindi con lo spaccio, potranno fare lavori socialmente utili. In piena libertà dunque. Che ne dice?
Ne dico benissimo. Per il tossicodipendente, e non parlo dello spacciatore, il carcere è una iattura inutile. Ma attenzione: per questi giovani il carcere non andrebbe nemmeno sfiorato, né respirato. Trasferimento immediato in case e comunità pronte ad accoglierli. Ma quante strutture adatte possiede l’Italia? Allora creiamole. Investiamo in prevenzione nelle scuole, prepariamo e curiamo i ragazzi a rischio prima, e lavoriamo con chi cade dopo. Il carcere in questi casi è solo un’aggravante. Ma c’è di più: anche i detenuti che devono scontare gli ultimi 4 anni potranno chiedere l’affidamento ai servizi e uscire prima.

Non sarà troppo?
Io credo che alla fine sarà il giudice a decidere caso per caso. Noi non arrestiamo replicanti, ma uomini e donne. Con storie e reati diversi. A rischio di essere tacciata come un’infrangibile utopista, credo che bisognerebbe cominciare a selezionare le ipotesi davvero meritevoli di carcere. Però su questo siamo ancora lontani.

Bisognerebbe cominciare a rivedere il Codice penale, vuole dire?
Voglio dire che, sì, dobbiamo trovare il coraggio e l’intelligenza di depenalizzare molti reati. Ormai il ricorso al carcere diventa inflazione. Da anni lottiamo per trovare soluzioni alternative all’affollamento che mina la salute e la civiltà di San Vittore. Peccato che ogni giorno salti fuori un reato neonato.

Per esempio?
Uno per tutti? L’arresto per i giornalisti: uno può simpatizzare o indignarsi con Alessandro Sallusti, ma imporgli la prigione no. È troppo. Che paghi una multa salata, se proprio deve. Ma non lo si può mischiare a ladri e rapinatori. E non parliamo poi delle tonnellate di piccoli reati figli della crisi: furti e miriadi di minimi reati patrimoniali. Ladri di biciclette alla De Sica. Con un’aggravante per gli anziani. Quanti vecchi oltre gli 80 anni, e col pannolone, ci arrivano, proprio d’estate. I figli in vacanza, la rete del condominio che crolla, e loro rubano il melone al supermercato. Per non parlare del dolore e della solitudine che si respira nel reparto psichiatrico, che qui gestiamo e che richiede decine di turnover. Mi creda, ormai San Vittore è diventato una sorta di mecca dell’emarginazione e dell’emergenza sociale.

Nel decreto si parta di pene “scalate” agli ultrasettantenni che devono scontare ancora 4 anni. Ci sono giornali, come il “Fatto quotidiano”, che sostengono che questo potrebbe avvantaggiare Silvio Berlusconi…
Non mi pare che il Fatto sia stato una Cassandra così lungimirante. In ogni caso non è umano, anzi è terribile e crudele che i vecchi rimangano in carcere. Lasciando per un attimo da parte il decreto. Come si è comportato a San Vittore Fabrizio Corona? Questo è un carcere di passaggio. Ecco, diciamo che nel passaggio non ha dato prova di grande saldezza di nervi. Poveretto, era davvero esasperato. Lele Mora è parso più mansueto.

Racconti qualcosa della visita del presidente Napolitano, lo scorso febbraio…
L’ho voluto portare nel terzo raggio: l’inferno delle gabbie, dove centinaia di esseri umani vivono umiliati e disperati. Siamo entrati dentro le gabbie. Era commosso e arrabbiato insieme. Credo che anche lui abbia capito che l’uomo del delitto non è più quello della pena. Che si può cambiare, capire. Comunque il suo gesto è stato l’abbraccio più potente e più importante per tutti noi.

Torniamo al decreto: ha ricevuto critiche anche nel capitolo sulla violenza domestica. Prevede che il questore, senza denuncia, possa solo ammonire lo stalker e togliergli la patente. E le vittime?
La violenza feroce di ogni giorno ferisce troppo questo Paese e il nostro cuore. Ma io dico: invece di disperarci sul sangue versato, perché non capire finalmente che per fermare la strage delle donne bisogna anche ascoltare l’altra parte”, e cioè gli uomini? Da anni abbiamo qui un servizio d’ascolto per chi ha fatto maltrattamenti. Anche gli uomini chiedono aiuto, mi creda. Vorrebbero parlare, confessarsi, liberarsi della rabbia. Ma non sanno dove e come. Il professor Claudio Giulini ha fatto un grande lavoro qui dentro. Purtroppo quelli come lui sono ancora pochi. Certo, devo dire che la solitudine che mi fa sentire davvero impotente è quella degli extracomunitari.

È vero che avete toccato il 63 per cento dei detenuti stranieri?
Certo che sì. E anche se i reati sono lievi, anche se i giudici spesso vorrebbero aiutarli, si trovano senza soluzioni perché il 95 per cento di questa gente non ha né case né famiglie che permetterebbero arresti domiciliari. Molti di loro sono al primo arresto. Dunque dobbiamo curare l’accoglienza, prevenire gesti terribili. Pensi che nell’arco del 2012 abbiamo avuto 7 mila entrate. In compenso, liberi dalla legge Bossi-Fini, ecco 1.000 ingressi in meno all’anno.

Lei non è sposata e non ha figli. La sua vita l’ha consegnata a San Vittore. È giusto?
Sì, è giusto. Non fai il direttore di un carcere. Lo sei. A qualunque ora: di notte, di giorno. E se ti allontani anche per pochissimo trovi sempre una qualche rivoluzione. Perché il carcere è sempre in movimento. Ore di calma e poi arriva l’onda anomala che ti travolge. Come il mare.

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