Giustizia: detenuti, violazioni costose; cella piccola e affollata? ora lo Stato deve risarcire

Violare i diritti umani dei detenuti ha un costo per lo Stato. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) è stata condannata a risarcire un detenuto ristretto nel carcere di Lecce in condizioni lesive della sua dignità umana. La sentenza n. 29971/13 dello scorso 12 luglio della Prima sezione penale della Corte di cassazione è un precedente giurisprudenziale di grandissima importanza che potrebbe dare origine a una valanga nei confronti delle povere tasche del Ministero della giustizia. Nel caso in questione il Ministero deve risarcire 2.600 euro a un detenuto costretto a essere chiuso in una cella piccola e affollata, con pochissima luce naturale, senza acqua calda per lunghe diciotto ore al giorno.
Il detenuto aveva presentato reclamo al magistrato di sorveglianza della città salentina. Questi, con una ordinanza innovativa e coraggiosa, non si era limitato ad accogliere il reclamo, ma stravolgendo una casistica precedente, aveva condannato l’amministrazione penitenziaria a risarcire il danno subito dal detenuto. Una decisione presa - sulla base della giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani - nonostante non vi sia nella legge penitenziaria del 1975 alcun riferimento espresso a un potere del genere nelle mani del giudice di sorveglianza.
Quella risarcitoria è infatti di una prerogativa tipica del giudice civile. Di fronte alla assenza di norme specifiche il Procuratore generale aveva sostenuto che il provvedimento del giudice leccese fosse addirittura abnorme. La decisione della prima sezione penale della Cassazione ha invece smentito ogni previsione nonché le richieste del procuratore. Vedremo dalle motivazioni se tale sentenza è stata favorita dal fatto che il Dap ha presentato in ritardo, ovvero oltre i termini di legge consentiti, il ricorso contro l’ordinanza del giudice leccese. In ogni caso il dado è tratto. E ora questa prima sentenza dei giudici supremi potrebbe determinare una valanga di reclami e di ordinanze con costi notevoli per l’amministrazione penitenziaria.
Quest’ultima, pur non avendo possibilità di incidere sui numeri del sovraffollamento di prerogativa legislativa, potrebbe però nei limiti delle sue competenze favorire migliori condizioni di detenzione. Ad esempio evitando la permanenza in celle affollate per lunghe 20-22 ore come avviene in media in molte case circondariali. La sanzione detentiva, d’altronde, è una sanzione alla reclusione in carcere e non alla chiusura in cella. Vanno pensate e costruite occasioni di socializzazione e ricreazione comunitaria che favoriscano l’apertura delle celle. Di certo la peggiore delle risposte, che potrebbe addirittura irrigidire ulteriormente la magistratura di sorveglianza, è fare quanto accaduto a Padova.
Qui il detenuto che aveva presentato reclamo al magistrato di sorveglianza (da questi accolto) in quanto soggiornante in una cella con meno di tre metri quadri, è stato trasferito in un carcere lontano dai suoi affetti dove di metri quadri ne avrebbe uno in più, ovvero quattro. Questa è una decisione che assomiglia a una ritorsione piuttosto che alla volontà di risolvere un problema strutturale.
//
SU