Giustizia: decreto legge sulle carceri, primi commenti di politici, operatori sociali e sindacalisti

Antigone: bene approvazione decreto legge e modifica dell’ex Cirielli
“Il decreto legge varato oggi dal Consiglio dei ministri contiene misure che vanno nella giusta direzione di decongestionare il sistema penitenziario, afflitto da un sovraffollamento intollerabile. Nel decreto notiamo in particolare l’ abrogazione della legge ex Cirielli nella parte sulla recidiva che tanti danni aveva fatto e tanta responsabilità aveva nell’azzeramento delle misure alternative”.
Lo dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri. “Va sempre ricordato - aggiunge - che vi sono circa 30 mila detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili e che le misure presenti nel decreto avranno bisogno comunque di tempo per andare a regime. Bisogna, dunque, tenere alta l’attenzione viste le notizie tragiche che arrivano dalle carceri. Si pensi che nell’ultimo mese nel solo carcere romano di Rebibbia sono morti quattro detenuti e altri tre sono morti nelle carceri napoletane”.
Infine, dice ancora Gonnella “oggi, in occasione della giornata dedicata dalle Nazioni Unite alla tortura e alle droghe ci piacerebbe che il governo prendesse di petto questi due temi, da un lato introducendo il delitto di tortura nel codice penale, dall’altro modificando la legge Fini-Giovanardi sulle droghe che punisce in modo indistinto e con la stessa severità consumatori e trafficanti”.
Ucpi: provvedimento timido, così si rischia riforma a metà
“Un grande viaggio inizia sempre con un primo passo, quello fatto oggi va nella giusta direzione ma è troppo timido”. Così l’Unione camere penali sul decreto legge emanato dal governo che, scrive in una nota, “è importante soprattutto perché dimostra la bontà dei rilievi e delle denunce provenienti dai penalisti italiani riguardo alla sostanziale liquidazione della legge Gozzini posta in essere dalla metà degli anni novanta in poi, abbandonando quella strada - culturalmente regressiva, giuridicamente arretrata, fallimentare dal punto di vista degli effetti sociali - che finalmente viene riconosciuta come sbagliata. Diminuendo le preclusioni ai benefici penitenziari e rafforzando alcune misure alternative, anticipandone l’applicazione quando possono evitare l’ingresso in carcere (quest’ultima è una specifica elaborazione scientifica delle camere penali), le norme licenziate oggi - prosegue l’Unione - si iscrivono in un complessivo ripensamento degli indirizzi fin qui mantenuti ed assolvono ad una duplice funzione: da un lato rafforzano il fine di reinserimento sociale dei condannati attraverso un utilizzo meditato della sanzione detentiva, finalmente iniziando una revisione critica sulla impostazione carcerocentrica del sistema penale, d’altro lato prendono atto che è il rafforzamento delle misure alternative alla detenzione in carcere, e comunque dei benefici penitenziari, a produrre, con il crollo delle percentuali di recidiva, il maggior vantaggio complessivo per la società”. Non si tratta, dunque, di “svuotare le carceri dai colpevoli, ma - spiegano i penalisti - di operare perché esse non continuino a riempirsi. Ma il decreto odierno non è assolutamente sufficiente. Oggi il Governo aveva finalmente l’occasione per voltare pagina, secondo una visione finalmente moderna dell’esecuzione penale, che non indebolisce bensì rafforza la sicurezza collettiva, ma questa scelta doveva essere perseguita con maggior determinazione, senza cedere a suggestioni e ricatti demagogici dei forcaioli vecchi e nuovi, i quali giocano sulla ignoranza dei dati criminologici per meri interessi elettorali. E questo, purtroppo, è accaduto, atteso che le versioni del decreto legge che si sono susseguite in questi giorni hanno perso per strada sia il rafforzamento della liberazione anticipata, sia una decisa modifica dell’art 4 bis dell’ordinamento penitenziario (da abrogare o quantomeno ridimensionare, mentre invece è stato addirittura arricchito di una ulteriore preclusione oggettiva, in maniera contraddittoria rispetto alla filosofia del provvedimento), sia l’applicazione anticipata e provvisoria dell’affidamento in prova al servizio sociale”. Questa rischia di essere “una riforma a metà, per cui sarà fondamentale recuperare l’originaria impostazione nel dibattito parlamentare in sede di conversione. Occorrerà che le forze parlamentari - conclude la nota - dimostrino lungimiranza e coraggio, con una vera e propria operazione culturale che determini un deciso mutamento di rotta in tema di esecuzione penale”.
Osapp: dal governo sulle carceri misure importanti ma non decisive
“Dal Governo misure importanti, ma non risolutive contro le emergenze penitenziarie.” è questo il primo commento, rispetto al decreto sulle carceri approvato quest’oggi in consiglio dei Ministri, che si legge in una nota a firma di Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria).
Secondo l’Osapp: “il pur apprezzabile obbiettivo di ottenere per le carceri italiane meno detenuti e più posti letto, sarà vanificato, come nelle precedenti legislature, dalla mancata riorganizzazione della farraginosa e iperburocratica Amministrazione penitenziaria centrale (il c.d. Dap) da tempo povera di idee e lontana dai problemi reali del personale e dell’utenza, nonché principale responsabile della mancata realizzazione di programmi per il pieno reinserimento sociale dei detenuti come stabilito dall’art.27 della Costituzione”.
“Altrettanto è da chiedersi - prosegue il sindacato - come si possa sperare di incrementare le incombenze lavorative legate ai controlli e alle attività nei maggiori spazi e nei nuovi immobili destinati alla detenzione, senza nel contempo riorganizzare gli assetti e adeguare gli organici della Polizia Penitenziaria fermi al 1991”.
“Purtroppo - conclude Beneduci - nonostante l’apprezzabilissimo sforzo della guardasigilli Cancellieri ed a parte l’ulteriore evoluzione dell’ordinamento penale nel Paese, proprio perché il problema riguarda l’assenza di risultati in ambito penitenziario, l’esperienza ci porta a ritenere che dalle nuove misure si otterranno giovamenti minimi e. comunque, solo temporanei, rispetto a condizioni detentive di grave inciviltà quali, ad esempio, quelle degli istituti penitenziari di Pozzuoli (femminile), di San Vittore, di Busto Arsizio o di Modena in cui celle da 2 posti sono occupate da 6 reclusi con un sovraffollamento del 150% ovvero riguardo alla grande confusione che, sempre grazie alle indecisioni del Dap, attualmente affligge rilevanti strutture penitenziarie quali quelle romane di Regina Coeli e di Rebibbia”.
Sappe: serio rischio che decreto inciderà ben poco su criticità sistema
“C’è il serio rischio che il Decreto Legge approvato oggi in Consiglio dei Ministri per risolvere i problemi penitenziari si riveli ben poca cosa rispetto alla complessità del problema, Cosi come ribadiamo di non credere che l’amnistia possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l’indulto del 2006, che si rileverò un provvedimento tampone inefficace del quale però beneficiarono quasi 36mila soggetti, 29mila dei quali uscirono dalle carceri. Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro”.
Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria.
Capece sottolinea che “il personale di Polizia Penitenziaria (sotto organico di 7mila Agenti) è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Ci vogliono riforme strutturali, che depenalizzino i reati minori e potenzino maggiormente il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari. Sul progetto dei circuiti penitenziari studiato dall’Amministrazione penitenziaria non ci sembra la soluzione idonea perchè al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e ad una maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il Personale di Polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico. Oggi tutto questo non c’è ed il rischio è che un solo poliziotto farà domani ciò che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza. Il progetto elaborato dal Capo DAP Tamburino e dal Vice Capo Pagano in realtà non prevede affatto lavoro per i detenuti e mantiene il reato penale della ‘colpa del custodè. È quindi un progetto basato su basi di partenza sbagliate e non è certo abdicando al ruolo proprio di sicurezza dello Stato che si rendono le carceri più vivibili”.
Marroni: decreto Cancellieri è il primo passo, ma forse occorreva più coraggio
“Senza dubbio, il Decreto carceri rappresenta l’inizio di una nuova stagione di tutela dei diritti dei detenuti e delle loro prerogative garantite dalla Costituzione. Ma occorreva più coraggio per dare un segnale inequivocabile della volontà di affrontare e risolvere i problemi delle carceri italiane”. Lo dichiara, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando il testo del Decreto carceri approvato oggi dal Consiglio dei Ministri.
“La novità - ha aggiunto il Garante - è che il testo varato dal governo sembra voler imboccare una strada nuova: quello della decarcerizzazione del sistema, interrompendo così una produzione legislativa che, dalla metà degli anni Novanta, ha previsto la carcerazione come pena regina producendo sovraffollamento e condizioni insostenibili per i detenuti, per gli agenti di polizia penitenziaria e per quanti vivono e lavorano quotidianamente in carcere. Le misure approvate oggi sono importanti, ma non bastano. Per questo, non rinuncio alla speranza che il Parlamento possa migliorare il Decreto, andando ad incidere a fondo su quelli che sono i veri nodi del sistema carcerario italiano”.
Uil-Pa: il decreto da solo non basta, servono anche amnistia e indulto
“Su un punto occorre essere chiari e responsabili : il cosiddetto decreto carceri all’esame del Governo costituisce, certamente, un importante ed apprezzato atto di attenzione verso una delle più delicate questioni sociali, qual è l’emergenza penitenziaria, ma non può essere rubricato tra gli atti risolutivi di quella emergenza” È quanto sostiene Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari.
“Purtroppo per troppi anni l’attenzione al carcere, ai suoi drammi ed alle sue criticità, è stata regolata da un pendolo emotivo che non sempre ha consentito di legiferare con logica efficiente. Troppo spesso più che a risolvere le gravi questioni che affliggono il sistema penitenziario, con norme specifiche ed utili, si è pensato alla pancia dell’elettorato in nome di un equivocato allarme sociale. Ben vengano, quindi, i necessari correttivi alla Cirielli; ottima l’eventuale estensione della messa in prova anche per detenuti adulti e quant’altro prevede il decreto.
Ma - dichiara Sarno - perché l’Italia sia al riparo dalle condanne comminate dalla Cedu per il trattamento inumano e degradante serve ben altro e molto di più. Per quanto ci riguarda, dall’alto della nostra conoscenza e della nostra competenza, non possiamo non ribadire che, in attesa dell’auspicata riforma complessiva del sistema Giustizia, l’unica soluzione che consentirebbe di far rientrare nei parametri di legalità il sistema carcere è un provvedimento di indulto e amnistia. Le circa 24mila presenze in esubero rispetto ai posti effettivamente disponibili (43mila) determinano condizioni di inciviltà detentiva non consone ad un Paese civile”.
D’altro canto è sotto gli occhi di tutti - osserva il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari - che il moltiplicarsi di malattie infettive, le difficoltà a garantire cure sanitarie efficienti, il grave e preoccupante fenomeno dei suicidi (benché vi sia un trend in calo), i numerosi decessi per cause naturali, l’impossibilità di articolare percorsi riabilitativi attraverso attività socio-pedagogiche, la mancanza di spazi determina quelle condizioni di inciviltà ed inumanità sanzionate dalla Cedu. Ancora una volta, però, non possiamo non sollecitare ad una più attenta e puntuale osservanza della norma che prevede le espulsioni sia in fase di patteggiamento che quale misura alternativa alla detenzione. Norma già esistente ma poco applicata, nonostante le notevoli potenzialità deflattive del sovraffollamento carcerario che potrebbe produrre”.
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