Giustizia: delle condizioni dei detenuti si preoccupa solo l’Europa

Quando si lavora in un giornale si attribuisce un diverso grado di urgenza a ogni notizia che si pubblica. La percezione di questa è ovviamente molto soggettiva, ciononostante tra le notizie di questa settimana abbiamo valutato, con una sostanziale convergenza di tutta la redazione, che quella più urgente riguardasse le condizioni dei detenuti che si trovano nelle nostre carceri. Si tratta di condizioni a tal punto disumane da obbligare la Corte europea per i diritti dell’uomo a condannare il nostro Paese a risarcire economicamente i detenuti per i maltrattamenti subiti. Nelle nostre prigioni è stata rinchiusa una popolazione carceraria che eccede di circa 20mila unità i posti disponibili. La prima condanna dell’Italia a causa dei maltrattamenti inflitti per la mancanza di spazio nel carcere è avvenuta nel 2009 nei confronti di un detenuto del carcere di Rebibbia. Poi nel 2013 è stata la volta di sette detenuti nell’istituto penitenziario di Busto Arsizio e Piacenza, che hanno ricevuto circa 100mila euro a testa come risarcimento per la mancanza di spazio nelle celie dove erano rinchiusi.
Ora i ricorsi dei detenuti alla Corte europea per i diritti dell’uomo sono più di 400 e saranno tutti accolti se l’Italia nei prossimi 300 giorni non riuscirà ad aumentare lo spazio disponibile per ognuno di loro. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione”, recita l’articolo 27 della nostra Costituzione.
Nonostante sia evidente quanto la popolazione carceraria sia trattata in modo disumano, quello che stupisce è la totale incapacità dei governi che si sono alternati alla guida del nostro Paese di immaginare forme alternative al carcere che siano in grado di tradurre in pratica il tentativo di rieducazione che la nostra Costituzione richiede. Il problema è doppiamente difficile perché i diritti dei carcerati sono offesi e nello stesso tempo queste offese sono dimenticate e sepolte nel luogo in cui avvengono perché i carcerati non sono visibili, non hanno strumenti di espressione, di comunicazione, di manifestazione del proprio dissenso.
Le carceri sono diventate sempre di più territorio di Ubera circolazione del personale dei servizi di intelligence che si permettono intimidazioni continue e vere e proprie manipolazioni delle dichiarazioni dei detenuti. I nove processi per la strage di via d’Amelio, che hanno portato in carcere per decine di anni detenuti innocenti, ne sono una tragica dimostrazione.
I pochi processi che affrontano le irregolarità commesse dentro le carceri da uomini delle istituzioni sono ignorati dalla maggior parte degli organi d’informazione. Non si può fingere di non sapere con quante difficoltà e determinazione piccoli gruppi di artisti e direttori illuminati lavorano insieme dentro le carceri creando dei percorsi di realizzazione dell’identità dei detenuti attraverso iniziative teatrali che hanno prodotto un fortissimo coinvolgimento e straordinari risultati “umani”. Che delle carceri si torni a parlare principalmente per l’iniziativa della Corte europea per i diritti dell’uomo è la palese dimostrazione di come la coscienza degli amministratori del nostro Paese sia stata per tutti questi anni, nel migliore dei casi, distratta, nel peggiore, incapace.
//
SU