Giustizia: ancora un detenuto suicida, intanto il governo rinvia la riforma delle carceri

L’ultimo ha deciso di farla finita tre giorni fa, nel carcere di Rebibbia. Era un detenuto bulgaro, e si è ucciso nel bagno della cella che divideva con altri come lui, ristretti in spazi piccolissimi, fuori norma, talmente angusti che molto spesso non vengono presi in considerazione nemmeno per allevare gli animali.
Mentre il governo ha rinviato oggi pomeriggio, ancora una volta, la soluzione per alleggerire il sovraffollamento nelle carceri, accade sempre più spesso che i detenuti scelgano la via più breve: quella del suicidio. Solo nel 2012 se ne sono uccisi 56; trenta erano italiani e 26 stranieri. E altri 97 sono morti per cause naturali (82 italiani e 17 stranieri).
E i numeri sarebbero stati ben più drammatici se gli agenti della polizia penitenziaria non avessero evitato ben 1.308 suicidi. L’anno prima, il 2011, i morti per suicidio erano stati 63 detenuti; quelli per cause naturali 102. E i suicidi sventati dalla 1.003. Adesso, con i primi caldi, la situazione rischia di diventare ancora più drammatica, perché ci sono circa 66 mila cittadini detenuti in uno spazio nel quale sarebbero stretti in 44 mila.
Secondo le normative comunitarie un detenuto dovrebbe avere a disposizione 7 metri quadrati in una cella singola; mentre adesso, in molte celle i detenuti non possono scendere tutti contemporaneamente dai letti a castello, che spesso sono a quattro piani, perché non ci sarebbe spazio sufficiente per stare tutti contemporaneamente in piedi. Le statistiche dicono che 35 detenuti su 100 sono stranieri. E che il 25-30 per cento è affetto da tossicodipendenza.
Molti di loro chiedono di lavorare, anche se la paga è bassissima (appena tre euro l’ora); ma non tutti riescono ad ottenere quello che ormai è considerato un privilegio. Dal 2007 al 2011 il numero dei detenuti è cresciuto di circa il 50 per cento, anche se il bilancio per l’amministrazione penitenziaria è stato tagliato del 10 percento.
Ma guardiamo i dati scorporandoli. I costi per il personale sono calati di circa il 5 per cento, quelli per gli investimenti (servizi e beni) di oltre il 30 per cento, mentre le spese per il mantenimento, l’assistenza e la rieducazione dei detenuti sono stati tagliati di oltre il 30 per cento.
Il 60 per cento dei detenuti che ha almeno una condanna definitiva ha un residuo di pena inferiore ai tre anni. La maggior parte di loro ha commesso piccoli reati. Infatti i reati maggiormente diffusi sono quelli contro il patrimonio o per violazioni alla legge sugli stupefacenti. Il 40 per cento è in custodia cautelare (in paesi come Francia, Germania e Spagna le percentuali sono tra il 15 e il 20 percento) cioè sconta una pena senza aver ancora ricevuto una condanna.
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