Fragile il patto per un Fisco equo e semplice

L'operazione Imu arriva oggi al primo traguardo con un affanno e un senso di malessere ben visibili da mesi. Un affanno che non sembra di buon auspicio in vista dei prossimi appuntamenti - e sono molti: per Governo, Comuni e, naturalmente, proprietari di immobili - quando ai contribuenti toccherà chiudere i conti, con il pagamento del saldo-conguaglio del 17 dicembre.
Il malessere non riguarda solo la complessità del nuovo tributo oppure il suo impatto in termini di maggior costo per contribuenti, cittadini e imprese. Probabilmente il disagio verso l'"odiata" Imu nasconde qualcosa di più ed è legato al venir meno del "patto" per un Fisco più equo, più leggero, più semplice. Per di più, anche la promessa di riforma fiscale sembra essersi al momento arenata. La crisi, è vero, non consente distrazioni. Ma ciò non basta a giustificare manovre sempre troppo timide sul fronte di tagli e risparmi (qualche segnale positivo arriva solo in questi giorni), ma assai spavalde quando si tratta di aumentare il prelievo. L'imposta sugli immobili, il modo in cui è nata ed è poi stata gestita, è diventato il simbolo di questo sistema inadeguato. Da qui bisogna partire per cogliere il fastidio della gente.
Primo. L'Imu è figlia di un'emergenza globale che non accenna ad arretrare e che, al contrario, sembra aggravarsi giorno dopo giorno: sarebbe ingiusto ignorare il contesto che ha portato alla sua introduzione. L'imposta municipale - architrave del disegno federalista del precedente governo - doveva debuttare solo nel 2014, confermando peraltro l'esenzione della prima casa. L'emergenza ha però imposto scelte diverse e urgenti. Mario Monti annunciò fin dal suo discorso programmatico in Senato (era il 17 novembre scorso) che si doveva rimediare alla peculiarità tutta italiana di «un'imposizione sulla proprietà immobiliare particolarmente bassa», aggravata dall'«esenzione Ici per le abitazioni principali». L'equazione era semplice: più tasse sul patrimonio (la casa, ma non solo) e sui consumi (l'Iva), contro una riduzione del peso di imposte e contributi sul lavoro e sulle attività produttive.
Quel che è accaduto lo sappiamo: è arrivata l'Imu, anche sulla prima casa, insieme all'aumento dell'Iva (senza pensare a quelli ulteriori sempre in agguato). Per il resto nulla, non c'erano e non ci sono risorse da destinare al Fisco. Solo il rigore dettato dalla crisi del debito.
Secondo. L'Imu si è rivelata più complessa dell'Ici. Anzi, molto più complessa, oltre che generalmente più pesante: il gettito crescerà di 11 miliardi rispetto al 2011, di cui solo 3,4 derivanti dall'abitazione principale, prima esente. Non c'è dubbio che qualcosa, sotto il profilo tecnico-normativo, non abbia funzionato come avrebbe dovuto. Il caso delle pertinenze è esemplare: un solo box, e lo stesso vale per ogni altra pertinenza, per ogni abitazione principale può avere aliquota agevolata. Tutte le altre scontano l'aliquota ordinaria, con l'ipotesi di scorporo, nel caso di rendita unica, scongiurata solo grazie alla circolare delle Finanze. La ciliegia sulla torta resta comunque la compilazione del modello F24, con l'assurdità – pur comprensibile nell'ottica della ripartizione del gettito tra stato e comuni – di dover indicare in modo distinto, per ogni immobile diverso dalla prima casa e dai terreni agricoli, la parte municipale e quella erariale della stessa imposta. Esercizio abbastanza semplice ora, con l'acconto (basta dividere il totale per due) ma che si rivelerà diabolico quando, con il saldo, si dovranno fare i conti sulle aliquote modificate dai comuni.
Terzo. L'Imu continua a soffrire in modo evidente il suo "peccato originale". Quello di un'imposta comunale il cui gettito finisce per poco meno della metà allo Stato (9 miliardi sul totale atteso di 21,4). È un paradosso che disorienta tutti. I cittadini («a chi vanno i miei soldi?») e anche gli amministratori locali. I quali possono "manovrare" – pur con molti limiti – l'imposta, ma se lo fanno al ribasso, riducendo le aliquote, devono accollarsi per intero la quota dello Stato, che ai suoi 9 miliardi non è proprio disposto a rinunciare. È evidente che il sistema così non va. E non a caso i sindaci hanno più volte ribadito che preferirebbero un'imposta completamente (e realmente) municipale, barattandola con un taglio equivalente ai trasferimenti.
Quarto. L'Imu è probabilmente l'unica imposta al mondo di cui nessuno conosce il peso effettivo. Non è un dettaglio: perché impedisce ai contribuenti (i cittadini, gli imprenditori, le aziende) una corretta e legittima pianificazione e previsione dei costi. Un esempio per capire: l'aliquota del comparto non abitativo può passare dallo 0,76% base all'1,06% (livello massimo su scelta del comune). Significa, immaginando un'Imu base per un capannone pari a 10mila euro, che il conto finale può salire fino a 13.947 se il Comune sceglie di applicare il massimo. Tutto ciò si saprà, però, solo a ridosso della scadenza del saldo di dicembre. I comuni potranno, di fatto, manovrare le aliquote sino a fine settembre e il governo si è addirittura ritagliato una finestra, fino ai primi giorni di dicembre, per modificare l'aliquota base, nel caso in cui si verificasse che il gettito atteso è inferiore alle aspettative. Forse davvero troppo anche per un'imposta nata per tamponare un'emergenza.
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