Feti abortiti, lecito prelevare le staminali per la ricerca?

Dalla Rassegna stampa

La ricerca sulle cellule staminali, siano esse ricavate dagli embrioni che quelle reperite nei tessuti biologici (cosiddette cellule adulte) è da molti ritenuta di notevole importanza ai fini diagnostici e terapeutici in relazione al numero sempre maggiore di malattie fra le quali si possono ricordare, vista la loro importante potenza invalidante, il Parkinson, le malattie del sistema nervoso, le malattie del sangue, tumori, diabete, cardiopatie e malattie genetiche. L'utilizzo di cellule adulte non crea oggi nessun problema di carattere etico, molto si discute sulla eticità, e quindi liceità, dell'utilizzo nella ricerca e per fini terapeutici delle cellule staminali prelevate da feti frutto di interventi abortivi (ovviamente lecitamente praticati nell'ambito di interruzione volontaria della gravidanza) o da embrioni conservati ai fini della fecondazione in vitro ma che non vengono utilizzati perché in sovrannumero o comunque non impiantabili. Questo perché le conseguenze che il loro utilizzo comporta sono la materiale distruzione degli embrioni nel corso della loro utilizzazione.

Secondo il comitato Nazionale di Bioetica, che pur non essendo un organismo che possa emanare leggi o regolamenti fornisce indicazioni sicuramente primarie nel campo della bioetica per chi usa farmaci e studia tecnologie nuove nel settore della salute, quando si intende utilizzare cellule staminali è opportuno operare sempre un chiaro diniego alla clonazione riproduttiva. Mentre viene valutato come lecito l'uso di cellule staminali prese da feti abortiti e da soggetti adulti purché i fini siano esclusivamente quelli di ricerca e terapia e vi sia espresso consenso della donna interessata dall'aborto.

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