Embrioni a giudizio

Dalla Rassegna stampa

Nulla o quasi si è scritto in Italia a proposito di una significativa, e importantissima, vicenda relativa a quella "guerra culturale" che lacera le opinioni pubbliche di tutto il mondo. E che costituisce, motivatamente, la base di opzioni ideali, scelte programmatiche e discussioni pubbliche, strettamente legate alla lotta politica. Solo in un paese smarrito come l’Italia, quelle poste in gioco, così profonde e allo stesso tempo così tangibilmente materiali (vita, morte, sofferenza), potevano essere definite "questioni eticamente sensibili". Altrove sono sostanza di aspre controversie giuridiche e di appassionanti battaglie legislative. Eccone un ottimo esempio. La Corte interamericana dei diritti umani ha condannato, il 28 novembre 2012, il Costa Rica perché nel paese centramericano è vietata qualsiasi forma di procreazione medicalmente assistita. Questa decisione si è avuta a seguito della proibizione da parte della Corte Suprema del Costa Rica, il 15 marzo del 2000, della fecondazione in vitro, giudicata incostituzionale, e della conseguente pronuncia di tutela assoluta dell’embrione.

Contro questa decisione molte coppie infertili si sono appellate alla Corte interamericana: e al procedimento si sono uniti attraverso la pratica (assai diffusa negli Stati Uniti) detta amicus curiae, l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, guidata dalla battagliera Filomena Gallo, e il Partito radicale, nonviolento Transnazionale e transpartito. Si è evidenziato, in quella sede, come la possibilità di accedere alla fecondazione assistita sia un diritto fondamentale della persona. La decisione della Corte interamericana dei diritti umani, con la condanna del Costa Rica, rappresenta una risoluzione storica, perché solennemente afferma che la fecondazione medicalmente assistita costituisce una cura. Ne consegue ulteriormente che - se si assume il presupposto che l’infertilità è una malattia - le tecniche relative alla fecondazione devono rientrare tra le terapie previste dal Servizio sanitario pubblico. Viene affermato inoltre che l’embrione non è giuridicamente tutelabile al pari della persona. I giudici, nella circostanza, hanno distinto tra utilizzo commerciale e ricorso agli embrioni a fini di ricerca, considerando lecito quest’ultimo. Le motivazioni della decisione recepiscono sia le ragioni delle coppie ricorrenti che quelle prospettate attraverso l’intervento dell’amicus curiae, e tengono conto delle decisioni delle Corti europee sulla non brevettabilità della ricerca sugli embrioni e sull’accesso a diagnosi e cure in materia di fecondazione. In ultimo nella sentenza della Corte interamericana è previsto che il Costa Rica attui un programma d’informazione per cittadini e giuristi sui diritti umani, sul loro riconoscimento e sulla loro applicazione. La decisione nei confronti del Costa Rica costituisce un precedente importante nell’evoluzione del diritto internazionale: sono 25 gli stati che hanno ratificato la Convenzione istitutiva di quella Corte (dal Brasile ad Haiti) e 35 quelli che hanno sottoscritto la Carta dei principi, ma la sua influenza è ancora maggiore, tale da farsi sentire su tutti gli stati del centro e del sud America. L’articolo 63 di quella Convenzione conferisce ai giudici interamericani tre poteri fondamentali in ordine alla riparazione di un danno: 1) assicurare alla vittima il futuro godimento del diritto violato; 2) rimediare alle conseguenze della violazione; 3) compensare gli effetti negativi subiti. Come la stessa Corte ha affermato, l’intento non è "arricchire o impoverire la vittima attraverso il risarcimento pecuniario", bensì cancellare le conseguenze della violazione commessa da un organo dello stato, ripristinando quando possibile lo status quo precedente.

La condanna del divieto della fecondazione in vitro in Costa Rica da parte della Corte interamericana è destinata a produrre effetti sostanziali nell’evoluzione della giurisprudenza in materia, che diventa fonte principale necessaria per le leggi che regolano questi diritti. Ne dovrebbe conseguire l’approvazione di norme sia in materia di riproduzione sia di tutela della salute delle donne, aprendo a normative sull’interruzione volontaria di gravidanza in paesi dove ciò non è previsto, poiché nelle motivazioni della sentenza viene ribadita la differente tutela della persona rispetto a quella dell’embrione. Un primo segnale importante è dato dalla recente approvazione della legge sulla fecondazione medicalmente assistita in Argentina. La normativa, rispettando i criteri della decisione della Corte interamericana, garantisce l’accesso a tali tecniche a tutte le persone maggiorenni, senza distinzione di orientamento sessuale e senza necessità di essere in coppia. Quelle tecniche inoltre sono comprese nel Programma Medico Obbligatorio, cioè nei servizi di base che devono essere offerti ai pazienti, anche dalle strutture private. Il testo è stato definitivamente approvato dalla Camera dei Deputati con 204 voti favorevoli, 10 astenuti e nessun voto contrario. Ah, l’Argentina!

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