Divieti e permessi quel che resta della legge 40

Dalla Rassegna stampa

Il 10 marzo di dieci anni fa entrava in vigore la legge 40, che regola le tecniche di procreazione assistita. Oggi, sentenza dopo sentenza - ben 28 volte la legge è finita in tribunale - dell’impianto originale è rimasto poco. E anche la parte sopravvissuta sarà oggetto di nuovo giudizio della Corte Costituzionale, il prossimo 8 aprile. Le future sentenze riguarderanno il divieto di utilizzare spermatozoi ed ovociti da donatori, la possibilità di concedere alla ricerca scientifica gli embrioni non adatti ad una gravidanza, l’accesso alla diagnosi pre-impianto dell’embrione per le coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche. Prassi - questa della selezione dell’embrione per avere un embrione sano - che si sta diffondendo negli Stati Uniti, come ha rivelato una recente inchiesta del New York Times, soprattutto tra le coppie con più alto rischio di malattie genetiche. Non senza dubbi etici. Era già stato cancellato, invece, il divieto di produrre più di tre embrioni e l’obbligo di impiantarli tutti e tre, così come era stato ridimensionato il divieto di crioconservazione degli embrioni.

Nonostante tutti i divieti, che hanno spinto all’estero migliaia di coppie con costi enormi e non solo economici, si calcola che siano quasi ottantamila i bambini nati in Italia da Pma in otto anni, dal 2005 al 2012, circa il 12 per cento sul totale. Tanti i numeri presentati al recente convegno romano della Sifes (la società italiana di fertilità, sterilità e medicina della riproduzione) sui dieci anni della legge. Numeri che possono essere desunti anche dal registro nazionale Pma dell’Istituto superiore di Sanità: 358 centri censiti a gennaio di quest’anno, 160 che applicano tecniche di primo livello (inseminazione intrauterina) e 198 centri di II e III livello (fecondazione in vitro e Icsi, iniezione di un singolo spermatozoo in un ovocita). Di questi 198 centri, solo 91 sono pubblici o convenzionati. E se è vero che in Italia i164,5% dei cicli di Pma viene svolto nel pubblico, è pur vero che ci sono differenze regionali abissali: in Toscana e Lombardia il 95% dei cicli viene offerto dal servizio sanitario, in Sicilia, Calabria, Puglia e Lazio tra l’84 e l’88% dei cicli avviene invece nel privato, con costi non indifferenti. Per non parlare delle coppie che continuano ad espatriare: il 63% delle fecondazioni eterologhe che si effettua in Spagna è su coppie italiane, circa ottomila euro a tentativo. Ma allora non avrebbe più senso pensare ad una nuova norma che sostituisca la legge 40?

«Secondo me è indispensabile pensare ad una legge che tenga conto anche del mutato spirito dei tempi e dei progressi della medicina - premette Andrea Borini, presidente Sifes - oltre che delle modifiche imposte dai tribunali. Dal 2004 ad oggi sono caduti molti divieti ma molti sopravvivono e tante coppie preferiscono continuare a curarsi all’estero. Guardo con favore ai modelli legislativi anglosassoni, che sono centrati sul grande rispetto per le persone, che non vuol dire assenza di regole, al contrario. Oggi continua a mancare la chiarezza: i giuristi si chiedono se non possa essere accusato di mal practice un medico che trasferisce tre embrioni in una donna di trent’anni, quando fino a qualche tempo fa era obbligatorio per legge. È evidente che la legge va cambiata e qualsiasi Parlamento dovrebbe prendere in considerazione l’idea». «Di proposte di legge ne abbiamo presentate tante - racconta Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica - ma purtroppo non sono mai state calendarizzate e nulla lascia pensare che ci sia oggi volontà politica per una riscrittura della legge. Certo è che se, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, la legge 40 dovesse essere dichiarata incostituzionale, dell’impianto originario resterebbe ben poco: il registro nazionale della Pma, strumento utilissimo, e la tutela dei nati da fecondazione assistita. Tutela che vale anche per chi ha un bambino all’estero con una tecnica vietata in Italia, come l’utero in affitto. Inoltre è vietato il disconoscimento nei confronti dì un bambino nato con tecniche di Pma ed è vietato anche l’anonimato per la madre, che invece è garantito ad ogni donna che partorisce».

 

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