Il detenuto Ismail denuncia Minacce e botte dalle guardie

Per un soffio, il destino di Ismail Ltaief non è stato lo stesso di Stefano Cucchi. Tunisino trapiantato in Italia, precedenti per reati politici risalenti a 30 anni fa e una condanna, 5 anni fa, per detenzione di armi. I suoi quattro anni di carcere (uno gli è stato abbonato per buona condotta) li trascorre in vari istituti penitenziari: tra questi, il carcere di Velletri, dove fa il cuoco. Qui ogni giorno vede sparire «ingenti quantità di cibo», che non finisce nei piatti dei detenuti ma a casa di alcune guardie carcerarie. Ismail scrive tutto nel suo diario. Denuncia le ruberie ad alcune persone che lavorano in carcere. Scopre che i suoi sospetti sono condivisi da altri. Che gli suggeriscono: lascia perdere. Per Ismail non se ne parla. Quando gli agenti coinvolti nelle ruberie scoprono che l'uomo intende denunciarli, provano a farlo desistere. Anche con minacce di morte.
«Se non stai zitto fai la fine di Cucchi», racconta di essersi sentito dire. Ha paura, ma vuole vuotare il sacco con il magistrato di sorveglianza. Il suo diario inizia a circolare in carcere, fino a una notte, a maggio dello scorso anno, in cui viene - questo il suo racconto - preso a pugni, calci, bastonate da alcuni agenti. Vomita, se la fa addosso. «Così lo ammazzate», sente dire tra un colpo e un altro. Non lo ammazzano. E lui parla con il magistrato di sorveglianza prima di finire in ospedale. Il procuratore capo di Velletri, Silverio Piro e il sostituto Carlo Morra cominciano le indagini.
«La procura di Velletri è stata encomiabile» dice l'avvocato di Ismail, Alessandro Gerardi. I cinque indagati sono rinviati a giudizio. I tre agenti che avrebbero partecipato al pestaggio sono agli arresti domiciliari, e altri due - i presunti responsabili delle ruberie, che avrebbero minacciato Ismail ma non partecipato all'aggressione - sottoposti all'obbligo di dimora. I capi d'accusa: violenza privata aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale, lesioni aggravate e intralcio alla giustizia. Ad aprile Ismail scrive all'associazione radicale "Il detenuto ignoto" e racconta la sua storia. «Sembra trattarsi di un caso di rara gravità e violenza premeditata, compiuti verso un immigrato che è l'ultimo fra i deboli dentro le nostre carceri», spiega Irene Testa, segretaria dell'associazione, da 39 giorni in sciopero della fame. Ismail ha finito di scontare la sua pena a febbraio. Immigrato ed ex detenuto, non riesce a trovare lavoro. Dorme in spiaggia, non mangia. E testimone chiave e vittima, attende l'esito del processo al via oggi contro i suoi presunti aguzzini. Per le ruberie, invece, le indagini sono ancora in corso.
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