«Crisi della giustizia e penitenziari, il Parlamento intervenga» - Lettera

Dalla Rassegna stampa

Caro direttore,
non è usuale ritrovarsi interlocutori del capo dello Stato. È accaduto ai 120 giuristi firmatari di una lettera aperta al presidente Napolitano, la cui risposta è stato l' ultimo atto istruito da Loris D' Ambrosio. Per onorare la sua memoria e le parole del Presidente, quel testo va letto attraverso le lenti della Costituzione quale regola e limite al potere. Il documento dei giuristi fa eco alla voce del capo dello Stato sulla crisi della giustizia e del sovraffollamento carcerario. L' amplifica. E rimanda al Presidente la richiesta di un messaggio alle Camere perché affrontino i due correlati problemi, anche con strumenti (l' amnistia e l' indulto) capaci di restituire legalità.

La lettera aperta, dunque, non pone un problema al presidente Napolitano. Risponde semmai a un problema posto dal capo dello Stato e da altri organi apicali delle istituzioni (il presidente del Senato) e della giustizia (i presidenti della Corte costituzionale, della Cassazione e della Corte dei conti). Cosa risponde il Quirinale? Separa innanzitutto i temi della giustizia e del carcere, occupandosi solo di quest' ultimo. Viene così derubricato in dramma umanitario un problema di Costituzione violata, che nasce dai tempi irragionevoli della giustizia e tracima in sovraffollamento carcerario. Una violazione certa e sistematica, come sentenzia la Corte europea dei diritti. Da anni l' Italia è condannata per i tempi eterni dei suoi processi. Ora lo è anche per trattamenti inumani e degradanti a danno di detenuti: l' ultima è del 17 luglio scorso, ma pendono a Strasburgo 1.200 ricorsi analoghi. Non è dunque un problema umanitario, per cui auspicare una soluzione rimessa alla discrezionalità delle Camere, spronate dal Quirinale.

Se di legalità violata si tratta, la sua soluzione è un obbligo costituzionale cogente per governo e Parlamento, richiamati a ciò formalmente dal capo dello Stato. La risposta del Quirinale rivendica l' attenzione con cui da sempre guarda alla condizione carceraria, denunciandone l' insostenibilità e raccomandando provvedimenti risolutivi. Ma non prefigura un ricorso al suo potere di messaggio. Tale vigilanza presidenziale non è bastata a evitare, ad esempio, 22 mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare, i suicidi in carcere (66 casi nel 2011, mai così tanti) ora pure di agenti penitenziari (già 7 quest' anno, 95 dal 2002). È una realtà che il Quirinale riconosce. Se non ora, quando sarà il momento di invertire tale tendenza? Il capo dello Stato motivi, con messaggio, le sue preoccupazioni; il Parlamento approvi gli strumenti risolutivi. A ciascuno il suo. Il potere di messaggio crea dialogo tra Quirinale e Parlamento, favorendo una collaborazione rispettosa delle reciproche competenze.

Ad oggi, il presidente Napolitano non ha mai inteso avvalersene. Egli sa che i poteri presidenziali non sono suoi personali ma del suo ufficio e, se necessario, vanno perciò difesi davanti alla Corte costituzionale: come ha ritenuto di fare giorni fa. Eppure, prima ancora, le prerogative presidenziali si tutelano esercitandole, nessuna esclusa. «Ho già detto in altre occasioni che non escludo pregiudizialmente neppure l' adozione dei provvedimenti clemenziali dell' amnistia e dell' indulto. Essi richiedono però, come prescrive l' articolo 79 della Costituzione, un ampio accordo politico di cui attualmente non ravviso le condizioni». Le parole del capo dello Stato descrivono un atto di clemenza generale da lui partecipato. Così era, quando l' articolo 79 contemplava una legge di delega al Presidente, che concedeva clemenza per decreto entro il perimetro vincolante tracciato dalle Camere. Nel 1992, però, quell' articolo è cambiato: la clemenza ora è decisione solo parlamentare, irrigidita da maggioranze così alte da dare le vertigini, controproducenti a un suo impiego ragionevole. Amnistia e indulto, dunque, sono estranee alle competenze presidenziali. È saggio che il Quirinale valorizzi i soli strumenti capaci di interrompere le attuali condizioni di illegalità dietro le sbarre (e - aggiungono i 120 giuristi - nelle aule di giustizia). Una sua formale interlocuzione con le Camere, sul punto, avvierebbe un processo che potrebbe favorire il consenso costituzionalmente necessario. A risponderne politicamente saranno poi le forze parlamentari: per il fatto, il non fatto, il mal fatto. La disponibilità del presidente Napolitano si spinge fino ad un invito, «dopo la pausa agostana», a un incontro con i firmatari della lettera aperta. Onoreremo l' invito. Da qui ad allora è augurabile che il sovraffollamento non degeneri, complice un'afa che rende infernale la vita dietro le sbarre. Le carceri sono al collasso. E se non collassano mai (o non ancora), lo si deve al senso di responsabilità di tutta la comunità carceraria, detenuti per primi. Più di ogni lettera aperta, è questa consapevolezza che dovrebbe indurre, chi può e chi deve, a fare presto.

*Ordinario di Diritto costituzionale, Università di Ferrara

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