La coperta corta

Dalla Rassegna stampa

Giocarsi in un paio di giorni una bella fetta di futuro non è poca cosa. Ma è quello che sta accadendo: ieri il varo della delega fiscale, oggi il vertice sulla crescita tra il premier Mario Monti e i leader della sua "strana" maggioranza mentre al Senato inizia a chiudersi la partita sull'introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Costituzione. Sullo sfondo assai scomodo di uno spread vicino a quota 400 e con l'Europa in fibrillazione per l'avvitamento della Spagna e le elezioni in Francia, l'Italia prova a mettere in cantiere la fase-due. Quella che insieme alla definitiva messa in sicurezza dei conti pubblici e nel pieno rispetto delle nuove regole europee dovrebbe disegnare per il 2013 il profilo dell'agognata ripresa. Il condizionale è d'obbligo perché l'operazione (già soggetta alle incognite internazionali e alle vischiosità di un'Europa incompiuta e che sulla crescita procede a scartamento ridotto) è tutto meno che facile.

Non bastassero l'avvicinarsi delle elezioni amministrative, la crisi e gli scandali che toccano il sistema dei partiti e il riacutizzarsi della piaga dei veti incrociati, occorre ricordare che la profondità reale della fase di recessione per il 2012 (che s'affianca peraltro ad un ritmo d'inflazione superiore alla media europea) potramo verificarla solo tra qualche tempo. Un calo del Pil pari a circa l'1,5%, così come dovrebbe essere previsto dal governo, dice qualcosa ma non tutto. Autorevoli previsioni internazionali prospettano scenari diversi e più gravi ed è diffusa la consapevolezza che tanto più sarà profonda la crisi, tanto più sarà più oneroso rispettare il vincolo del pareggio di bilancio nel 2013. D'altra parte, eventuali nuove manovre all'insegna dell'austerity più dura (manovre che il governo oggi esclude con decisione spiegando che ci sono margini per evitarle) avrebbero ulteriori effetti depressivi. E non è pensabile, in un Paese stressato dove sotto questo profilo si pagano già prezzi altissimi, che si possa ricorrere a nuove strette fiscali. Piuttosto, occorrerebbe procedere nella direzione opposta, quella verso un taglio deciso della pressione fiscale.

La coperta è certamente corta ma il disegno di legge delega per la riforma fiscale, oltre a prenderne atto, va anche più in là, riproiettando un quadro preoccupante di difficoltà. Le novità sono molte. A partire dalla nuova tassazione per le imprese: se ne va l'Ires ed entra in pista l'Iri, la nuova imposta sul reddito imprenditoriale che tra l'altro prevede incentivi per investire in azienda. Cambiano poi i riferimenti immobiliari per il catasto (dai vani ai metri quadri) e viene opportunamente stabilizzato il meccanismo del 5 per mille. Prevista la "carbon tax" per sostenere le energie rinnovabili.
D'altra parte resta l'Irap, l'odiata tassa sul lavoro della cui abolizione si parla da anni. Ancora una volta, a conti fatti (fornisce un gettito di 35 miliardi che serve a finanziare la sanità) una valutazione realistica impone di non smuoverla. Ma soprattutto salta di nuovo il fondo destinato a finanziare gli sgravi fiscali col gettito frutto della lotta all'evasione e della spending review. Evidentemente il governo non è nelle condizioni nemmeno di prospettare una riduzione dei carichi tributari. Un brutto segnale, da qualunque parte lo si voglia rigirare, perché è impossibile immaginare un sentiero di crescita senza un intervento per calmierare la tassazione e perché al contempo non risulta ancora chiara la strada che porta agli indispensabili tagli della spesa pubblica (800 miliardi, oltre il 50% del Pil).

Si rinuncia insomma anche solo a scommettere sulla riduzione della presssione fiscale perché, di fatto, non si riesce a tagliare significativamente la spesa? Uno scenario del genere, in particolare se accompagnato a una più intensa stagione recessiva, avrebbe effetti devastanti.
L'incontro tra Monti e i leader della maggioranza dovrà necessariamente tenere conto - oltre che del termometro dello spread - di una situazione che in sostanza, più che spalancare le porte alla fase-due, riporta alla fase-uno, quella del rigore. I margini sono stretti, le cose da fare molte, le risorse sono scarse. E senza i tagli alla spesa e l'offerta sul mercato degli asset pubblici - assieme ad una rigorosa quanto equilibrata riforma del lavoro - tutto diventa ancora più difficile.Il vertice matura peraltro mentre il Senato (il dibattito dei giorni scorsi a Palazzo Madama è stato di ottimo livello) si appresta a chiudere la pagina del pareggio di bilancio in Costituzione, pagina sulla quale aveva molto insistito, già a metà anni 80, Nino Andreatta.
Trent'anni dopo, la svolta? Nel complesso sì, soprattutto se si tiene conto del nuovo percorso europeo che siamo chiamati ad intraprendere. Ma non mancano né gli appunti critici (ad esempio quelli del senatore Nicola Rossi, presidente dell'Istituto Bruno Leoni: il "pareggio" c'è solo nel titolo, non nel testo dove compare solo "l'equilibrio di bilancio" ) né le diverse interpretazioni sul futuro. Queste investono il tema della sovranità nazionale, i confini della democrazia, la possibilità di utilizzare la politica fiscale in funzione anticiclica. È però un dato che il Parlamento archivia, con una larghissima unità di intenti, un capitolo politico che. travolto spesso da sciagurate prassi legislative, si trascinava irrisolto da anni. E anche questo è un fatto.

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