Come "occuparsi" dell'emergenza

Thorbjorn Jagland, dice nulla questo nome? È un compassato signore di 62 anni, norvegese (del suo paese è stato primo ministro per un paio d'anni, poi ministro degli Esteri, milita nel Partito Laburista, è anche presidente del comitato norvegese del Premio Nobel).
Jagland è anche segretario generale del Consiglio d'Europa; e in occasione della prima parte della Sessione ordinaria 2012 dell'Assemblea Parlamentare, ha severamente sillabato parole che meritano riflessione; e probabilmente per questo non ne susciteranno nessuna: "... Il funzionamento del sistema giudiziario e la sua indipendenza ed efficacia è un problema diffuso che mina lo Stato di diritto" e il normale funzionamento delle istituzioni democratiche in molte parti d'Europa. Guardando le sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani, ad esempio l'Italia è il principale contributore (responsabile) dell'arretrato (della CEDU) a causa della lentezza eccessiva dei procedimenti giudiziari nel Paese. Il danno collaterale degli arretrati è quello di bloccare il normale funzionamento della CEDU, che non è mai stata intesa come corte di ultima istanza per sistemi giudiziari incapaci di proteggere internamente i Diritti Umani". Quasi nelle stesse ore il ministro della Giustizia Paola Severino, dopo aver inaugurato una sede giudiziaria, visitava il carcere fiorentino di Sollicciano. Qualche giorno prima, nel carcere Gozzini, accanto a quello di Sollicciano, un detenuto di 29 anni, originario di Lucca, in carcere per reati di rapina e spaccio di stupefacenti, fine pena prevista per il giugno 2014 non ha saputo e voluto attendere: ha formato una corda di fortuna, e con quella si è impiccato.
Il ministro Severino al termine della sua visita ha raccontato di aver parlato con i carcerati di "quelli che non ci sono più e di quelli che ci sono e di cui dobbiamo occuparci". “Occuparci”: è questa la parola chiave? "Occuparci" significa lavorare per evitare quanto più possibile, che 'domani" si continui a parlare, come "oggi", dei detenuti che non ci sono più; come appunto non c'è più quel 29enne che si è impiccato; o come voleva non esserci più il boss della camorra Raffaele Stolder, detenuto a Torino, che ha cercato anche lui di impiccarsi, ed è stato salvato dall'intervento degli agenti della polizia penitenziaria.
“Occuparci”: "Abbiamo con i detenuti - dice il ministro - anche pensato al cammino che si sta percorrendo, che vorrebbe mettere insieme un insieme di piccole misure, che però tutte riunite potrebbero dare un sollievo alla situazione carceraria. Quello che si deve fare in una proiezione futura è mettere insieme una serie di forme alternative alla detenzione che rendano effettivo il principio per cui la detenzione deve essere veramente l'ultima spiaggia, da attivare quando le altre strade non si possono più percorrere. Un rovesciamento di proporzioni: è normale la misura alternativa al carcere, il carcere deve rappresentare una misura eccezionale, che come tale deve essere espressamente motivata. Ciò non vuole dire dare la libertà a tutti o negare le esigenze di difesa sociale, ma vuol dire riservare il carcere alle sole situazioni nelle quali le esigenze di difesa sociale prevalgono su quelle di un'alternativa alla carcerazione". Saggio discorso, e parole cariche di umanità, che lasciano scorgere una misericordia che forse è tale perché è una donna a dire queste cose: che ha un occhio, una mente, una sensibilità “altra”.
'Occuparci": ma qui la durezza dei fatti, della situazione dell'"oggi" che non può ulteriormente attendere un 'domani": quello che, dice il ministro, "si deve fare". Lo si sa bene, quello che si deve fare, quello che occorre fare. Il punto è appunto farlo: “Occuparci”.
Le "piccole" misure evocate, danno appunto come riconosce il ministro "sollievo". Ma non è di "sollievo" che ha bisogno la giustizia italiana. Ha bisogno di riforme strutturali. Ha bisogno che si metta la parola fine a quell'amnistia di classe, silenziosa, quotidiana, clandestina che si chiama prescrizione: almeno 180mila processi che vanno ogni anno in fumo, e su cui si tace. Il ministro Severino sarà presente, tra qualche giorno, all'apertura dell'Anno Giudiziario; difficilmente il Procuratore Generale della Cassazione, nella sua relazione, potrà eludere la questione. E il ministro cosa dirà, cosa replicherà, cosa annuncerà perché le scrivanie dei magistrati, sommerse da migliaia di fascicoli, siano finalmente sgombre, e i magistrati possano finalmente essere messi in condizione di lavorare? A Bologna la deputata radicale Rita Bernardini ha scoperto quello che è un vero e proprio "armadio della vergogna", dove venivano stipati i fascicoli destinati ad essere "amnistiati". Solo a Bologna?
Quanti sono gli "armadi della vergogna" in Italia, e quanti fascicoli contengono, chi li ha scelti, perché quello e non quell'altro?
“Occuparci”. È di questo, che occorre "occuparci". Non è la Peste Italiana che si propaga per l'Europa, come non si stanca di ripetere Marco Pannella? Amnistia, alla luce del sole, con paletti e garanzie, premessa fondamentale per l'urgente, impellente riforma. È questo che suggerisce, propone Pannella. Amnistia? Possibile, dice il ministro Severino, se il Parlamento la vuole: "Se ci si sofferma sul termine ipotizzabile, dal punto di vista astratto lo è certamente. Dal punto di vista concreto, perché si realizzi un'amnistia, è necessaria una maggioranza parlamentare estremamente qualificata.
Se questa maggioranza parlamentare si verificherà, si cimenterà, certamente sarà possibile anche questo. Il punto di partenza non è in questo caso un progetto, ma un accordo tra le forze parlamentari che riesca a raggiungere una maggioranza qualificata".
Certo: occorre una maggioranza qualificata. Occorre un accordo tra le forze parlamentari. Occorre insomma lavorare attorno a questa proposta, per superare le demagogie e i verboten dei Gasparri, dei Di Pietro, dei Palamara e dei Cascini. Occorre "occuparci" di questo, farsi carico del problema. Non si ritiene praticabile, giusta, opportuna l'amnistia? E allora cosa, come, quando? Non tanto, non solo per svuotare le carceri, ma soprattutto per evitare che si riempiano; e in attesa delle auspicate riforme che verranno domani, che fare per l'oggi? Lo si deve chiedere, abbiamo il diritto di saperlo e hanno il dovere di dirlo, quanti sostengono che l'amnistia NO.
Perché la corda sta per essere tirata anche troppo. La rivolta nel carcere di Bolzano è un segnale; nei giorni scorsi altri ce ne sono stati. La rivolta di Bolzano (80 posti ufficiali, 130detenuti effettivi), come le altre, conquista le pagine dei giornali, dei notiziari radio-televisivi. Gli stessi giornali e gli stessi notiziari radiotelevisivi che hanno negato anche una manciata di righe, di secondi, quando migliaia di detenuti effettuavano scioperi della fame, scegliendo l'opzione nonviolenta. Distruggere la seconda sezione del carcere di Bolzano procura articoli e servizi giornalistici; fare scioperi della fame e della sete procura silenzio, indifferenza. Se questo è il modo di informare di chi deve informare, cosa pensate che possa avere la tentazione di fare chi ha vitale necessità di richiamare l'attenzione sulla sua situazione?
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