Carceri, ora la politica scelga da che parte stare

Condivido completamente la lettera di Roberto Martinelli, del Sappe, il Sindacato autonomo della polizia penitenziaria, in merito alla situazione carceraria che colpisce il nostro Paese e le nostre realtà locali.
Proprio mentre scrivo vengo raggiunto dalla notizia che a Marassi un altro detenuto ha tentato di porre fine alla sua vita impiccandosi: è stato salvato appena in tempo grazie all'intervento della polizia penitenziaria. Ha ragione perfino sull'amnistia che non è certamente il rimedio risolutivo se non si sfruttasse poi quell'occasione per mettere mano a tutte quelle leggi criminogene che producono carcere anche per chi non dovrebbe starci.
Pensiamo al dramma dei tossicodipendenti che non possono essere presi in carico dal circuito penale ma necessiterebbero invece di un percorso sanitario in grado di aiutarli ad uscire dalla condizione in cui si trovano. O i malati di Aids. Per non parlare delle leggi sull'immigrazione e sui recidivi che ingolfano le nostre carceri fino all'inverosimile. Che dire poi di quelle persone che vengono arrestate e rimangono in cella due o tre giorni per poi essere scarcerate costringendo quindi l'ufficio matricola ad aprire fascicoli inutili?
Ci si risponde che i cittadini chiedono più sicurezza e quindi più carcere, ma siamo veramente consci di cosa succede dietro a quelle sbarre? Fermo restando il principio che chi viene riconosciuto colpevole è giusto che paghi, sono giuste tutte quelle pene aggiuntive dettate ad esempio dal sovraffollamento che nessun giudice ha però mai inflitto?
La politica non può più girarsi dall'altra parte, ha il dovere di discutere, e subito, di questi problemi per dare delle risposte a una realtà che tutti ormai dichiarano insostenibile. Un sistema penale che ci umilia come Paese per usare le parole del Presidente della Repubblica Napolitano. Se il Governo, invece che continuare a promettere nuove carceri che o non verranno mai aperte (anche perché mancano gli stessi poliziotti) o verranno riempite il giorno dopo visto il tasso di ingressi che si registra ogni mese, decidesse di "legalizzare" le carceri, cioè farle rientrare nel dettato costituzionale di "luoghi di reinserimento", non solo farebbe una cosa giusta ma arrivati a questo punto doverosa. Un appello va fatto anche ai detenuti ai quali dobbiamo chiedere di non rassegnarsi e di non cedere a gesti estremi di violenza sudi sé e sugli altri.
C'è bisogno di continuare a lottare tutti insieme, con la nonviolenza, perché il nostro Paese torni ad essere democratico e a guardare agli istituti di pena non come delle discariche dove confinare tutto quello che non vogliamo vedere ma come dei luoghi capaci di restituire alla società persone in grado di camminare con le proprie gambe verso una nuova vita. Non è facile e non porta voti sostenere questo ma è una battaglia di civiltà e bisogna scegliere da che parte stare.
Alessandro Rosasco, Comitato nazionale di Radicali Italiani
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