Carceri: dobbiamo solo arrossire di vergogna, non c'è altro atteggiamento da ostentare

Dalla Rassegna stampa

Tutti, a cominciare dal Ministro della Giustizia, puntualmente e puntigliosamente ci affanniamo a formulare severe diagnosi sullo stato degradante in cui versano le nostre prigioni. Proclami inutili, con il rimpallo delle responsabilità e con la solidarietà di facciata. Perché tutto irreparabilmente si ferma lì.
Le massime istituzioni a cominciare dal Presidente della Repubblica Napolitano esprimono indignazione e rabbia, ma non riescono a scalfire minimamente una realtà ormai nettamente e ampiamente stratificata. E' completamente inutile soffermarsi sulla diagnosi se poi non si affronta con estrema serietà, sollecitudine e determinazione la terapia necessaria.
Spostando quanto sopra in Medicina, si evince che se alla diagnosi non consegue la terapia il paziente rischia di morire. Siamo di fronte a un carcere malato, inutile e vendicativo. Un carcere che non riesce a realizzare più il suo obiettivo istituzionale principale: la rieducazione. Il carcere è divenuto ormai un arido contenitore della marginalità della società odierna. Prevaricano intollerabili condizioni di sovraffollamento e promiscuità. 67.000 detenuti per 45.000 posti letto. Mancano in sostanza 22.000 posti-letto. 24.000 circa i detenuti stranieri (soprattutto Marocco, Tunisia, Algeria con forte presenza di albanesi, romeni e polacchi) con una conseguente babele di lingue, di culture, di religioni. Il 35% della popolazione detenuta è tossicodipendente. Avvengono mediamente 60 suicidi per anno.
L'indice di sovraffollamento rimane in termini costanti intorno a 142% (la Puglia è al 182%, mentre la Liguria è al 176%). La media europea si aggira intorno al 99%. Più del 40% dei detenuti è in custodia cautelare. Le carceri come pattumiere della società. Dopo i letti a castello che raggiungono il soffitto, dopo l'occupazione delle aule scolastiche e delle salette adibite alla socialità, resta ancora libero qualche corridoio. Tutto questo alle soglie di una torrida stagione estiva.
Questa è la drammatica situazione in cui sono costretti a vivere i detenuti nella maggior parte delle 206 carceri del territorio nazionale. Saltano inevitabilmente tutti gli schemi di trattamento.
Saltano tutti gli schemi di controllo medico. La presa in carico diventa un esercizio inutile. Il sovraffollamento condiziona ed influenza molteplici aspetti rendendo precarie sia le strutture edilizie, sia le più elementari regole di igiene personale e ambientale.
In queste condizioni particolarmente critiche stenta a realizzarsi la Riforma della Medicina Penitenziaria. Addirittura in alcune Regioni come la Sicilia non è ancora iniziato l'iter. La Riforma della Medicina Penitenziaria doveva costituire l'ultimo treno per rendere più umano e più civile il carcere. Niente di tutto questo.
Ha mancato completamente l'obiettivo, perché intanto è calata nel momento peggiore quando le condizioni di grave sovraffollamento delle carceri hanno reso quasi impossibile l'applicazione delle più elementari norme di Medicina Preventiva. L'organizzazione penitenziaria è letteralmente in ginocchio. I detenuti chiedono attenzione. I detenuti chiedono il rispetto di elementari diritti. Ci troviamo di fronte a un trattamento disumano e degradante. Molto opportunamente qualcuno ha parlato di tortura ambientale. Le iniziative legislative portate avanti dal Ministro della Giustizia Severino in merito al sovraffollamento non hanno fatto acquisire risultati apprezzabili e rimangono sulla carta nel novero delle buone intenzioni. Altrettanto si può dire del pacchetto Giustizia del Ministro Cancellieri.
Il carcere è seriamente e gravemente malato e non può essere curato con l'aspirina. Le aspettative risultano completamente deluse. La Corte Europea dei diritti dell'uomo ci ha presi giustamente di mira e non intende mollare la presa. Ormai a ritmo incalzante vengono inoltrati al Governo italiano continui, severi richiami al fine di ripristinare con estrema urgenza le norme di legalità in carcere. Il nostro Paese ha fatto una pessima figura presentando il ricorso, che era tra l'altro in stridente contraddizione con le dichiarazioni rilasciate dai massimi rappresentanti istituzionali ,dal Presidente della Repubblica al Ministro della Giustizia, sulle condizioni intollerabili in cui sono costretti a vivere i detenuti.
La Corte europea, come era facilmente prevedibile, ha rigettato il ricorso dell'Italia e ha ordinato il risarcimento dei detenuti, prevedendo 12 mesi per risolvere il problema.
Bisogna mettere mano e alla svelta abolendo o rimodulando la legge Bossi-Fini, la legge Fini-Giovanardi e l'ex legge Cirielli che ormai legittimamente vengono etichettate come vere e proprie leggi liberticide. Si rende necessaria una maggiore attenzione della magistratura verso i detenuti seriamente malati per il riconoscimento di un beneficio di legge o per la concessione di pene alternative. I detenuti tossicodipendenti non hanno alcuna prospettiva in carcere. Possono solo peggiorare le loro condizioni.
In considerazione delle reiterate sentenze della Corte Costituzionale, si deve assumere il criterio dell'extrema ratio della custodia in carcere. Le circolari emanate dal DAP devono essere rese operative e non devono rimanere come purtroppo succede troppo spesso delle buone intenzioni sulla carta. Deve prevalere la graduazione delle pene attraverso misure cautelari meno restrittive (le cosiddette pene alternative) che risultano del resto parimenti idonee a preservare le esigenze processuali e di sicurezza sociale. Si avverte forte l'esigenza di delineare precise, incisive norme per favorire il lavoro dei detenuti che rimane al momento attuale l'unico, vero efficace incentivo che ha consentito concreti processi di reinserimento sociale.
Sull'esempio della maggior parte dei Paesi europei deve essere portato a risoluzione il problema della sessualità in carcere, mentre in Italia si continua a disquisire sulla materia con posizioni assolutamente retrive che non trovano alcuna giustificazione plausibile. In questi termini si continua a negare un atto di natura implementando inevitabilmente la patologia della rinuncia o della degenerazione. Le condizioni politiche attuali non consentono alcuna prospettiva perché inevitabilmente prevarranno i veti incrociati. Di fronte al dramma di un carcere sovraffollato e violentato nella sua configurazione istituzionale e strutturale, bisogna avvertire l'umiltà di mettere da parte le ideologie e rendere operativa una strategia della riduzione del danno attraverso il riconoscimento dell'amnistia. Solo in questi termini si potrebbe restituire legalità alle strutture penitenziarie e si darebbe una risposta finalmente adeguata alle legittime richieste detta Corte d'Europa.

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