Carcere, il diritto di Stefano a un’altra vita (Risponde Corrado Augias)

Egregio dottor Augias, da qualche anno sono volontaria alla biblioteca “Tommaso Campanella” nel carcere di Padova. Una bella biblioteca che vive del nostro contributo, delle donazioni e della buona volontà di un detenuto, Stefano, che, attivissimo e disponibile, cataloga, etichetta, attiva il prestito, sistema i volumi, li consegna ai piani, consiglia.
I libri hanno salvato la sua vita: grazie ai libri ha scoperto curiosità e talenti che non sapeva di avere, ha valorizzato energie e competenze. Stefano è, agli occhi di tutti, esempio di “riabilitazione” riuscita, quella tanto incoraggiata nelle discussioni politiche e giornalistiche, quella di cui qualsiasi operatore del settore andrebbe fiero.
Che succede a Stefano? Ottiene riconoscimenti, attestazioni di stima? Permessi per andare come bibliotecario nelle scuole, in linea con il concetto di pena riabilitativa e come da tempo programmato? No. Con motivazioni rese note a posteriori (un ricorso per sovraffollamento) Stefano è stato improvvisamente trasferito, da un giorno all’altro, perde così tutti i benefici, lascia la sua cella, la biblioteca Tommaso Campanella, il lavoro che aveva imparato per essere trasferito a Cremona. La biblioteca resta senza Stefano. Siamo amareggiati, preoccupati per Stefano e per la sua disperazione. Siamo soprattutto impotenti. Scrivo a lei perché so che da questa “piccola storia” si può ricavare una grande storia: la conferma che un’altra vita è possibile, che si può uscire dal tunnel e che lo si può fare con i libri e con la cura di essi.
Agnese Solero
È vero, la storia di Stefano illumina tutti gli aspetti che la signora Solero tratteggia nella sua lettera. Ma illumina purtroppo, nel suo rovescio, anche una certa Italia di burocrati, negligente e distratta, contro la quale non è facile difendersi. Intendiamoci bene, sappiamo tutti perfettamente che i comportamenti della burocrazia sono a volte obbligati. Le norme, le circolari, i regolamenti consentono margini ridotti al comportamento dei singoli funzionari. Le ragioni per cui questo accade sono evidenti, non c’è bisogno di ripeterle. Per un altro aspetto il problema delle carceri è immenso e non facilmente risolvibile, a cominciare dal sovraffollamento di cui a quanto pare anche il detenuto Stefano è rimasto vittima. Bisognerebbe costruire nuove carceri, adeguare quelle esistenti ai criteri di umanità riabilitativa che, nel paese di Cesare Beccaria, gli istituti di pena dovrebbero avere. Servirebbero insomma molti soldi che come sappiamo non ci sono. Intanto però si potrebbe cominciare dalle piccole storie come quella di Stefano. Il ministro della Giustizia è persona di comprovata efficienza e umanità, sono certo che vorrà porre mano al caso, e risolverlo nel modo migliore.
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