Capitalizzare la fiducia

La delega desaparecida non è affare ordinario. Parliamo delle misure per rendere più funzionale, equo e trasparente il rapporto tra i contribuenti e lo Stato. Parliamo (anche) di riforma del catasto, di abuso del diritto, di revisione della tassazione del reddito d'impresa. Una legge che delega appunto il Governo ad emanare, entro sette mesi dalla sua definitiva approvazione, una serie di decreti legislativi a titolo di manutenzione attiva, pro-crescita, di alcuni tra i maggiori istituti fiscali.
Non bastasse la riaffermazione del "paradosso dello spread" (più i tassi calano, come ha dimostrato anche ieri l'asta dei BoT a sei mesi sotto la soglia dell'1%, ai minimi da aprile 2010, più si allenta l'impegno politico anticrisi) eccoci di fronte ad una pagina politico-parlamentare che evoca suggestioni d'altri tempi. La Camera approva la delega che passa al Senato. Qui, dopo un costruttivo confronto politico interno e col Governo in Commissione finanze, la legge approda in aula, il 22 novembre, col convinto "sì" dei due relatori, uno del Pd (Giuliano Barbolini) e l'altro del Pdl, Salvatore Sciascia.
Quest'ultimo chiude il suo intervento dichiarando, tra gli applausi, che le «nuove misure contribuiranno a migliorare non solo la normativa ma anche il rapporto tra Stato e contribuenti ad invarianza assoluta di gettito fiscale». Meno di una settimana dopo, contrordine. Il Pdl ci ripensa e si allea con Lega ed Idv per bloccare l'iter della delega. Si riunisce la conferenza dei capigruppo che rispedisce il pacchetto nelle mani del presidente della Commissione finanze, lo stupefatto Mario Baldassarri (Pdl). Il quale commenta: «Si tratta di una decisione politica, al di là delle quisquilie tecniche di calendario».
Di fatto la delega è entrata in coma profondo. Prospettiva pessima perché una riforma importante rischia di rimanere sepolta nei cassetti e perché indicativa di un clima, all'interno della stessa "strana" maggioranza che sostiene il Governo Monti, che ci riporta dritti nelle pieghe dell'irresponsabilità politica. Quasi si fosse dimenticato quanto, per uscire da una crisi sistemica di un Paese bloccato, sia necessario un percorso di coerenza riformista stabile nel tempo e non soggetto a questa o quella sbandata o ventata demagogica.
Cosa possano fare il Governo e il Parlamento è chiaro. L'esecutivo può capitalizzare la frenata dei tassi d'interesse moltiplicando l'impegno sul sentiero delle riforme. Senza mediazioni al ribasso, senza guardare in faccia nessuno ma mettendoci la sua faccia. Ha fatto bene, ieri, il ministro dell'Economia Vittorio Grilli a spiegare che sulla delega fiscale il Governo «si impegnerà perché si possa concludere con successo questo provvedimento moltoimportante». Bisogna insomma fare il possibile e l'impossibile per riportare questa riforma nel circuito dei fatti.
Quanto al Parlamento, alla "strana" maggioranza e in particolare a un Pdl sfilacciato e che naviga a vista, dovrebbero capire che questa non è una stagione pre-elettorale come un'altra, dove ci si combatte a colpi di promesse, grandi e piccole, e di opache guerriglie di potere su temi come l'accorpamento delle Agenzie fiscali. Far impantanare la delega fiscale rappresenta, oltre che un grave danno al Paese, un clamoroso autogol politico e un regalo, l'ennesimo, all'anti-politica. Immaginiamo quale potrebbe essere il giudizio degli elettori-contribuenti su una classe politica che, oggi, affossa la prospettiva di un Fisco più equo e trasparente. Alla delega desaparecida corrisponderebbe solo un nuovo, vistoso calo dei consensi.
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