Cancellieri: il problema delle carceri è indilazionabile, anche sotto il profilo morale

Dall'Audizione del Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, in Commissione Giustizia del Senato, il 20 maggio 2013.
"...Il tema della situazione carceraria è questione delicatissima che vede coesistere, in un difficile tentativo di costante equilibrio, l’intreccio tra esigenze di sicurezza, finalità di espiazione e di rieducazione della pena, garanzia dei diritti di dignità della persona.
Al 15 maggio 2013, erano presenti - nei 206 istituti carcerari italiani - 65.891 detenuti, di cui oltre 23.000 stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 47.040 detenuti.
Di questi, 24.691 sono indagati o imputati in custodia cautelare, 40.118 sono condannati e 1.176 internati.
Non possiamo più permetterci di ritardare la soluzione di un problema indilazionabile, anche sotto il profilo morale.
La complessità del tema ha bisogno di una risposta articolata e modulata su più fronti, che parta da una nuova prospettiva culturale ed in cui la pena detentiva carceraria non sia più l’unica opzione possibile, solo perché il sistema non è in grado di individuare soluzioni alternative.
Appare peraltro ineludibile intraprendere un percorso di umanizzazione della vita carceraria, onde rendere effettivo il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena.
La situazione di insostenibile degrado in cui versa il sistema carcerario italiano sconta un pregresso particolarmente critico ed un pluriennale ritardo nell’adozione di misure radicali che avrebbero dovuto consentire di dare una risposta strutturale e organica all’emergenza.
Ciò ha determinato, tra l’altro, pesanti ricadute anche in termini di responsabilità dell’Italia di fronte alla Corte Europea dei diritti dell’uomo; basti ricordare la pronuncia dell’8 gennaio 2013, nota anche come sentenza Torreggiani, che ha imposto strettissimi tempi per l’adeguamento del sistema carcerario italiano agli standard europei di accoglienza.
È una situazione che va a colpire e a creare disagio e sofferenza non solo alla popolazione carceraria ma anche agli uomini e alle donne della polizia penitenziaria a cui va tutta la mia personale gratitudine e l’apprezzamento per la dedizione, l’ umanità e lo spirito di sacrificio con cui quotidianamente svolgono il proprio servizio, consentendo con il loro impegno di sopperire, sia pure in parte, alle carenze del sistema.
Analogo sentimento di riconoscenza voglio rivolgere a tutto il resto del personale - medici, psicologi, operatori - che con altrettanta dedizione presta la propria opera all'interno delle nostre carceri.
È mio dovere indefettibile e indifferibile agire; non intendo sottrarmi a questa che sento come una responsabilità, certamente come Ministro, ma anche come cittadino, come persona.
È dunque un accorato richiamo quello che mi sento di rivolgervi: a farci carico, tutti insieme, in uno sforzo comune e responsabile, di un tema su cui si declinano gli elementi essenziali di uno Stato di diritto e la storia della nostra grande tradizione di civiltà.
Nella precedente legislatura sono stati avviati interventi importanti e nel solco di questi credo debba riprendere il cammino delle riforme, cercando di dare impulso a ciò che non è stato possibile portare a termine.
Senza pregiudiziali ideologiche, senza strumentalizzazioni mediatiche, operando - come dicevo prima - su diversi versanti.
Penso innanzitutto alla razionalizzazione del sistema sanzionatorio penale; partendo dal disegno di legge, già approvato a larga maggioranza dalla Camera il 4 dicembre dello scorso anno, non licenziato in via definitiva dal Senato a causa della fine anticipata della legislatura, e da cui credo dovremmo riprendere le mosse.
L’intervento sul sistema sanzionatorio dovrà riguardare in primo luogo le nuove pene detentive non carcerarie, nel solco di quanto è stato già fatto nel 2010 e nel 2011 (esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori rispettivamente a dodici mesi e a diciotto mesi), valutando tutte le soluzioni alternative tecnicamente percorribili.
La reclusione va limitata ai soli reati più gravi, con l’introduzione, come sanzioni autonome, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, inteso quest’ultimo come obbligo di fare a favore della comunità.
Le nuove pene detentive non carcerarie consentirebbero di attuare il principio del minor sacrificio possibile della libertà personale, al quale la Corte Costituzionale ha ripetutamente fatto richiamo.
Non si tratta di un intervento risolutivo di tutti i problemi delle carceri, lo so bene, ma di un buon inizio.
In secondo luogo, è il caso di prevedere forme alternative di definizione del procedimento penale, condizionate a programmi di trattamento cui sottoporre l’imputato (come per l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova).
Infine, la riforma della contumacia, con la previsione della sospensione del processo nei casi in cui l’interessato assente non abbia avuto una effettiva conoscenza dell’imputazione a suo carico. Si tratta di un tema di cui si discute da anni e che deve essere affrontato, con coraggio e realismo, una volta per tutte.
Sempre nel solco dei lavori avviati nella precedente legislatura, riterrei utile riprendere le mosse dagli esiti della commissione ministeriale di studio che ha perseguito l’obiettivo di un diritto penale come extrema ratio di tutela nonché di una deflazione processuale.
In particolare andrebbe affrontato, in termini condivisi, sia un percorso di “decriminalizzazione astratta” (ossia di abrogazione di fattispecie di reato o trasformazione di reati in illeciti amministrativi), che di “depenalizzazione in concreto”, attraverso l’introduzione dell’istituto della irrilevanza del fatto e di meccanismi di giustizia riparativa.
Molti spunti interessanti possono essere tratti dai lavori della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza (cd. Commissione “Giostra”), che ha indicato una serie di misure dirette specificamente a contrastare la tensione detentiva determinata dal sovraffollamento.
I dati statistici, cui ho fatto prima cenno, confermano che una elevatissima percentuale della popolazione carceraria è costituita da soggetti ristretti per reati in materia di stupefacenti. Occorre favorire l’accesso all’affidamento terapeutico nella consapevolezza che la dimensione carceraria, sotto il profilo organizzativo e strutturale, non può costituire la principale risposta che lo Stato possa dare ad un problema così diffuso di disagio sociale.
Contemporaneamente, deve essere completato il piano per l’edilizia carceraria, anche attivando strumenti di finanziamento innovativi- come la possibilità di effettuare permute tra strutture carcerarie in avanzato stato di degrado - ma appetibili sotto il profilo edilizio, che verrebbero cedute in cambio di edifici nuovi, concepiti dal punto di vista strutturale e di sicurezza secondo le più moderne funzionalità.
Ciò permetterebbe di raggiungere l’obiettivo di disporre di carceri più adeguate alle esigenze dei detenuti e in linea con la tradizione giuridica del nostro Paese.
Della massima importanza è anche la prosecuzione dei progetti di natura organizzativa finalizzati a ridisegnare le modalità di custodia, valorizzare l’attività di trattamento, ottimizzare l’impiego delle risorse umane, massimizzare il lavoro carcerario che, come dimostrano le statistiche, abbatte la recidiva.
La possibilità di migliorare la distribuzione dei detenuti dentro il sistema, e quindi di razionalizzare l’uso degli spazi esistenti, è attuabile in tempi brevi ed è collegata alla capacità di distinguere i detenuti, in modo da corrispondere più adeguatamente ad una popolazione variegata, e destinarli a circuiti appropriati alle loro caratteristiche.
Questo consentirà di ottenere importanti risultati sulle condizioni di vita dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria e potrà costituire, per l’Italia, un importante passo in avanti, da portare alla attenzione della Corte Europea dei Diritti dell’uomo".
//
SU