C'è la diagnosi ma non la cura

Il rapporto che da oggi è sul tavolo della Commissione europea si propone due obiettivi cruciali per uscire dalla crisi: evitare in futuro salvataggi bancari a spese del contribuente; proteggere il finanziamento dell'attività produttiva. I due problemi hanno assunto dimensioni drammatiche.
Come documenta il rapporto, le banche europee nei quattro anni dal 2008 al 2011 hanno ricevuto fondi pubblici per 4.500 miliardi di euro, pari al 36,7% del Pil dei Paesi membri. Nel frattempo, quella che sembrava una temporanea interruzione del flusso di nuovo credito, continua a imperversare, gravando come un macigno sulla ripresa economica. Il rapporto Liikanen propone cinque misure, fra cui la separazione fra l'attività retail, al servizio dell'attività produttiva, e quella di trading sui mercati, di natura spesso e volentieri speculativa, in analogia a simili misure proposte nel Regno Unito o già realizzate negli Stati Uniti (la cosiddetta Volcker rule). Va subito detto che è ingeneroso e riduttivo ricondurre il contenuto del rapporto a questa specifica proposta. Il rapporto ci offre un'ampia rassegna dei molti mali che hanno determinato la crisi delle banche europee e correttamente mette in evidenza che nel gorgo sono caduti tutti: non solo chi si era dedicato ad attività speculative, ma anche chi aveva adottato strategie molto aggressive nell'attività di tipo tradizionale.
Dunque, il rapporto non crede che isolare l'attività di trading finanziario sia il toccasana per impedire crisi future. Almeno altre due proposte fra le cinque avanzate vanno infatti lette congiuntamente: realizzare un meccanismo efficiente di risoluzione delle crisi (eufemismo per dire: come chiudere una banca in dissesto senza troppi dolori e soprattutto senza chiedere ancora soldi ai contribuenti) e quella di un ulteriore requisito di capitale per le attività di trading.
Si tratta di due aspetti cruciali nell'attuale dibattito sulla regolamentazione futura. Per quanto riguarda il primo, è infatti evidente che la separazione fra banca e finanza non serve tanto in funzione preventiva, cioè per evitare che la seconda "corrompa" la prima, ma in chiave successiva, cioè quando una crisi si è manifestata. A quel punto, la separazione può rendere più facile separare la parte al servizio dell'economia da salvare (quella che Lord Turner chiama utility banking) da quella speculativa (casino banking, non necessariamente nel senso della casa da gioco).
Ma questo richiede una disciplina speciale che attribuisca una parte delle perdite ai creditori diversi dai depositanti. E soprattutto richiede un'autorità deputata a gestire la crisi, che nel caso europeo non può che essere sovranazionale. Occorre dunque una normativa che oggi in Europa è solo in fase di gestazione.
Non solo. Quanto detto significa che la separazione serve preventivamente se si radica nel mercato l'idea che una componente di un gruppo bancario può fallire mentre il tronco dedicato all'attività retail continua a vivere e magari a prosperare. Dunque, che non c'è nessuna garanzia né esplicita né implicita sulle passività di una componente del gruppo. Un mutamento di rotta di 180 gradi rispetto a quanto è avvenuto finora e a quanto le stesse autorità di supervisione hanno accettato o spesso richiesto, in base al principio della vigilanza del Paese di origine.
Va detto che gli orientamenti attuali della direttiva europea rispondono in gran parte a questi problemi, tanto che è stato più volte affermato che si tratta di uno dei tre pilastri dell'unione bancaria di cui tanto (e tardivamente) si parla. Ma le opposizioni che sono già state annunciate da vari Paesi, Germania in testa, fanno prevedere che la navigazione di questo testo sarà molto tempestosa.
Altrettanto problematica è l'altra misura relativa all'istituzione per l'attività di trading di un coefficiente di capitale non ponderato, quindi non influenzato dai miracolosi effetti dei modelli interni delle banche. Qui le orecchie sorde non sono solo in Europa, ma in tutto il mondo, cioè dovunque è in corso la battaglia per riformulare ed edulcorare il quadro di Basilea 3. Il rapporto Liikanen ci dice che l'attuale riforma deve essere ulteriormente rafforzata. O, se si preferisce, ammonisce che per rendere meno soffocanti i requisiti relativi all'attività di prestito occorre rivedere – e non marginalmente – quelli relativi all'attività di trading.
Va da sé che poi tutto richiede che le autorità di vigilanza non si comportino come le tre scimmiette, particolare su cui il rapporto pudicamente tace. Il trasferimento alla Bce delle competenze nazionali in materia di supervisione è altrettanto importante delle altre misure proposte.
Insomma, il rapporto Liikanen non sostiene che la separazione sia condizione sufficiente per impedire nuove crisi bancarie o per proteggere l'attività di prestito all'economia. Anzi, per alcuni componenti della commissione non è neppure condizione necessaria. Ci conferma invece che alcune delle misure di cui si discute sono di vitale importanza, per avere in Europa un sistema bancario sano e al servizio dell'economia. C'è solo da augurarsi che la politica trovi finalmente l'unità di intenti per realizzare tutte le misure proposte e che poi la Bce si dimostri più efficiente dei tanti supervisori nazionali che non si sono dimostrati all'altezza del loro compito.
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