Buon fisco si spera

Qualcosa di buono c'è nel semilavorato del disegno di legge di riforma tributaria approvato ieri sera dal Consiglio dei ministri e che sarà illustrato nei dettagli oggi. Ma ci sono molti dubbi nel momento in cui andiamo in stampa, a ridosso della fine del Consiglio dei ministri. Anche se alcune critiche non secondarie sono inevitabili viste alcune misure. Ridurre le aliquote a tre è un'utile opera di semplificazione, ma mentre la proposta originaria con l'aliquota massima al 33 per cento aveva un sapore reaganiano, questa legge delega per la terza aliquota prevede il 40 per cento. Con le addizionali regionali locali il tetto sarebbe al 42 per cento contro l'attuale 45: non sembra un'innovazione rilevante. L'aumento dell'Iva al 21 per cento, che doveva servire a finanziare una parte della riduzione del peso dell'imposta sul reddito, è stato reso facoltativo. Fortunatamente è sparita la tassazione dei Suv, che avrebbe dato un gettito minimo, ma faceva parte della retorica della sinistra ecologista. Nella bozza del ddl giunto in Consiglio dei ministri, però, c'era l'aumento sulle rendite finanziarie di 7,5 punti dal 12,5 al 20 per cento, con l'esenzione dei titoli pubblici. Nonostante il nome di "imposta sulle rendite", si tratta a tutti gli effetti di una mini patrimoniale. La legge delega annuncia anche una graduale eliminazione dell'Irap con particolare riguardo alla sua componente relativa al costo del lavoro. Resta da capire come verrebbe finanziata la perdita di gettito.
Insomma nel complesso il testo semilavorato risente molto del colbertismo tremontiano e poco del liberalesimo berlusconiano.
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