I bimbi che fanno “pena”

Cinquanta, cinquantacinque o sessanta. Non si sa con esattezza quanti siano oggi i bambini in carcere. E tenere il conto non è semplice, visto che entrano ed escono al seguito della propria madre. Tra le sue braccia o stringendole la mano, potremmo immaginarli così: compagni innocenti e inconsapevoli di un viaggio all'inferno. Alcuni restano in cella solo pochi giorni, ma c'è anche chi in carcere praticamente ci nasce. Come il bimbo di una settimana o poco più di vita, che solo qualche giorno fa si trovava nell'istituto di San Sebastiano a Sassari. Con lui, racconta la presidente dell'Associazione "Socialismo Diritti Riforme" Maria Grazia Caligaris, il fratellino più grande e altri due bambini: tutti in un'unica "cella nido". Poi, fortunatamente, due dei piccoli hanno potuto lasciare il carcere. Ma il problema resta e inchioda il sistema a un solo assordante interrogativo: è o non è una vergogna, in un Paese che vuole spacciarsi come civile, condannare dei bambini a scontare la pena delle loro madri? Costringerli a trascorrere ore, giorni, settimane fondamentali della propria infanzia in spazi degradati e malsani, dove nessun giocattolo o disegno alle pareti potrà mai dissimulare la dura realtà delle sbarre che li circonda?
Alla lettera con la quale Maria Grazia Caligaris le segnalava la situazione dei piccoli detenuti di Sassari, il ministro della Giustizia Paola Severino ha risposto garantendo che le istituzioni stanno facendo tutto il possibile per rendere la permanenza di questi bimbi "adeguata" alla tenera età. Non sapremmo immaginare come, visto che nelle nostre prigioni la vita detentiva non è adeguata, sotto nessun punto di vista, nemmeno per un adulto. E che le direttive europee prevedono condizioni più decenti perfino negli allevamenti di maiali.
La legge varata lo scorso anno ha dato il via libera alla costruzione sul territorio nazionale di nuovi istituti a custodia attenuata per madri con-prole, i cosiddetti Icam, come quello attualmente operativo a Milano. Ma solo dal 2014: prima non si può per mancanza di risorse e tuttavia permangono i dubbi anche sulla copertura finanziaria dopo quel termine.
Quando però - racconta Caligaris - da consigliera regionale era riuscita a far approvare un emendamento che finanziava l'istituzione di un Icam in Sardegna, dal ministero le hanno risposto che il numero di recluse con figli nella sua regione era irrisorio rispetto ai costi che una struttura del genere avrebbe comportato. Insomma, per una manciata di bambini, non valeva la pena di mettere mano alla borsa. Ma allora, davanti a numeri così contenuti da non superare le poche decine anche su scala nazionale, è ancora più difficile capire come mai non si riesca a individuare per queste donne - colpevoli per lo più di reati a basso tasso di pericolosità - e per i loro figli una sistemazione alternativa in strutture protette più accoglienti.
O sono forse, le loro, vite per cui non ne vale la pena?
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