Beni ecclesiastici troppi privilegi da parte dello Stato

Opera pia, Opera piglia», recitava un sarcastico detto popolare riferendosi al fatto che le Opere Pie poco avessero di pio e molto di redditizio. Un altro detto non era meno corrosivo: «Opera pia, Opera mia». Ne parlai in un libro del 1977 dal titolo... profetico: «L`Italia mangiata» (Einaudí). La discussione ogni tanto si riaccende su enti ecclesiastici e fiscalità statale (o locale), ma con scarso successo per chi vorrebbe privilegiare, giustamente, «gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto» e tassare alla stregua dei privati "laici" quanti svolgono attività redditizie. A cominciare dalle migliaia di cliniche e ospedali (ben 4.712) che rastrellano profitti, in concorrenza con le strutture pubbliche e private. Il citato art. 7 del Concordato del 1984 è abbastanza chiaro in materia (pur con qualche ambiguità), distingue cioè fra gli enti religiosi e quelli che tali non sono e che quindi «sono soggetti alle leggi dello Stato» (fisco incluso). Poco applicato, temo. Secondo Mauro Favale di "Repubblica", l`esenzione dell`Ici fa guadagnare alla Chiesa 400 milioni, quella dell`Ires fra i 500 e i 900 milioni, mentre 1 miliardo arriva dall`8 per mille delle dichiarazioni Irpef. Persino il previsto assoggettamento alla futura imposta locale Imu è stato rattamente tolto dal decreto Tremonti. Non sia mai. La Santa Sede, in modo diretto e indiretto, è proprietaria di un patrimonio immobiliare strepitoso (qualcuno lo dice pari al 20% del totale nazionale) accumulato e stratificato nei secoli, soprattutto a Roma, ma non solo. Si tratta di decine di migliaia di edifici che non hanno fini di culto e di uno stock di aree fabbricabili di grandissimo peso e valore. Quando si tracciò, per le Olimpiadi 1960, la Via Olimpica essa passò, guardo caso, valorizzandoli enormemente, quasi esclusivamente su terreni di proprietà ecclesiastica (come documentarono Giovanni Berlinguer e Piero Della Seta in un libro-inchiesta del tempo). Poi c`è tutta l`area vasta del sommerso e la zona "grigia" delle istituzioni assistenziali rimaste, più o meno, nell`orbita della Chiesa. Per esempio, le ex Opere Pie o Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (Ipab) che, pubblicizzate da Crispi nel 1890, sono state rimesse in una sorta di limbo evaporando loro e i loro in- genti patrimonii (quelle bolognesi possedevano tutti i terreni lungo la Via Emilia) : esse erano quasi 22.000 ai tempi di Crispi; se ne contarono 12.196 nel 1932 (in vista del Concordato del 1929 le fughe dai registri prefettizi si erano molto intensificate); negli anni `80 si parlava di 6-7.000 Ipab in tutto. Interi quartieri o palazzi, terreni fabbricabili, cinema, supermarket, garage, ecc. Attività che con l`assistenza non c`entrano per nulla. Né, tantomeno, con la religione. Giorni fa il quotidiano dei vescovi, "Avvenire", ha molto protestato contro i Radicali i quali avevano osato affermare che «basterebbe piazzare in un albergo una "cappellina" per poter dichiarare l`intero complesso adibito al culto». Per le ex Opere Pie bastò per dichiararne il «prevalente carattere educativo-religioso» e quindi evitarne il trasferimento a Comuni e Regioni continuando a lucrare copiose rette di ricovero o salate rette scolastiche. A Roma poi le case generalizie che ospitano ogni anno centinaia di migliaia di turisti risultano circa 200. Quante e quali imposte pagano? Anch`esse sono dedite alla beneficenza o alle opere di culto? Insomma, datemi del laicista, ma nell`evasione deprecata dal cardinal Bagnasco la Santa Sede ha una sua Evidente.
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