Basta segreti sul mercato dei tassi

Di tutti gli scandali finanziari della storia, quello che riguarda la manipolazione del Libor e dell'Euribor è sicuramente il più grave. E, va aggiunto, visti i precedenti vicini e lontani, si trattava di un record più difficile da battere di quello di Usain Bolt. Coloro che hanno piegato a proprio vantaggio il processo di formazione di un tasso che riguarda oltre 500mila miliardi di derivati, meritano ampiamente la qualifica di "banditi in doppiopetto gessato" o più semplicemente di "banksters" usata dal commissario europeo Viviane Reding, ma anche da giornali che non possono essere considerati inclini al giustizialismo populista, come l'Economist.
Nonostante le indagini abbiano finora svelato solo una piccola parte delle responsabilità, sono già sostanzialmente provati alcuni elementi fondamentali, che aiutano anche a capire quali sono le linee future d'azione per ridare credibilità e trasparenza a uno dei segmenti più importanti del sistema finanziario mondiale.
Libor ed Euribor sono tassi per così dire potenziali: indicano un punto della curva di offerta di fondi a breve, cioè i tassi a cui una grande banca è in grado di ottenere fondi da altre banche, senza garanzie collaterali, per le varie scadenze e a un certo punto della giornata. Come conseguenza, vengono stimati dai principali attori del mercato (18 per il Libor, oltre 50 per l'Euribor), secondo una procedura da tempo codificata sotto l'egida dell'Associazione bancaria britannica ed europea.
Va ricordato che le indagini hanno messo in evidenza due violazioni diverse: da un lato la manipolazione del processo di formazione del tasso, che è durata per anni, e dall'altro la tendenza a dichiarare tassi più bassi di quelli che sarebbero stati spontaneamente dichiarati, che riguarda solo i momenti più acuti della crisi, quando le banche avevano interesse a non far apparire troppo alti i tassi cui altre banche erano disposte a prestare. Questo secondo aspetto è assolutamente contingente e utilizzato oggi dalle banche, a cominciare da Barclays, per dire che tutto è colpa della crisi (come Alberto Sordi in "Un giorno in pretura": «A me mi ha rovinato la guèra») e che le autorità di vigilanza chiudevano un occhio. Ma il fatto importante e grave è il primo, cioè la manipolazione continuata (e aggravata, direbbero le procure) di uno dei tassi chiave della finanza moderna, da parte del fior fiore (si fa per dire) della finanza mondiale: almeno una dozzina di banche sono già coinvolte.
Il problema fondamentale è dunque il metodo di stima del tasso: non è d'altra parte sorprendente che una procedura ritagliata sui riti della City dell'Ottocento non sia più adatta alla turbofinanza di oggi. E infatti le indagini già pubblicate, per quanto ampiamente preliminari, mettono in evidenza due fatti altamente inquietanti.
Innanzitutto, la spinta a truccare il meccanismo è fortissima: nel caso di Barclays, in una delle operazioni contestate bastava modificare il livello del tasso di un basis point (un misero centesimo di punto percentuale) per ottenere un profitto di 2 milioni di sterline. Una tentazione da Sant'Antonio nel deserto; ed è noto che nelle trading room delle banche la santità è virtù assai rara. In secondo luogo, quasi come ovvia conseguenza, le pratiche manipolative risultavano tanto diffuse da far parte della cultura comune delle trading room. Le mail che gli operatori si scambiano non lasciano dubbi e sembrano basate sulla certezza di impunità non solo ai controlli interni, ma anche a quelli delle autorità di vigilanza.
Bastano questi due elementi per capire che non è sufficiente invocare pene esemplari per le "mele marce" o per i soliti trader abbandonati al loro destino appena colti con le mani nel sacco. Certo, la gravità e l'ampiezza dello scandalo meritano l'applicazione delle norme contro gli abusi di mercato e contro la formazione dei cartelli, che sono già abbastanza severe e che comporteranno costi elevati, anche in termini di reputazione, per le banche coinvolte, che dovranno anche sopportare elevati risarcimenti in sede civile. Con buona pace del commissario Barnier, la priorità non è inasprire le norme: basta applicare le norme già esistenti e soprattutto assicurare indagini uniformi.
Il problema fondamentale è intervenire drasticamente sul processo di determinazione dei tassi. Le alternative sono due: o continuare a basarsi su tassi potenziali e quindi cercare di migliorare una procedura fondamentalmente basata sull'autoregolamentazione, oppure passare a tassi effettivamente negoziati e quindi verificabili. In materia, il governo britannico ha promosso un'indagine affidata ad esperti indipendenti, che avrà sicuramente un peso importante nel dibattito futuro.
Fin d'ora si può dire che la strada di "manutenzione" più o meno ordinaria del meccanismo è certamente possibile, ma poco credibile. Si può aumentare il numero delle banche coinvolte (e infatti le manipolazioni sembrano aver riguardato molto più il Libor dell'Euribor) o ideare anche meccanismi auto-correttivi di vario tipo. Ma il problema fondamentale è che simili riforme sono credibili solo se esiste una ragionevole fiducia sulla correttezza dei soggetti coinvolti e sulla loro capacità di autodisciplina, cioè un capitale che le banche hanno ampiamente dissipato. Né ci si può illudere che la minaccia di sanzioni possa essere un deterrente sufficiente ad evitare in futuro i problemi che stanno emergendo in questi giorni. Basti ricordare che il ceo di Barclays travolto dallo scandalo Libor, Bob Diamond, è lo stesso che all'inizio del 2011 aveva dichiarato: «Il tempo del rimorso è finito».
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