Gli 840 caduti della guerra incivile

Dalla Rassegna stampa

L'eco di ottocentoquaranta nomi recitati come una solenne litania. Ottocentoquaranta fogli bianchi stesi al sole. Ottocentoquaranta pezzi di carta a rappresentare altrettante vite. Appese a un filo e poi cadute, negli ultimi nove anni, nella guerra incivile che si combatte quotidianamente nelle carceri italiane. Una guerra per la sopravvivenza, contro lo sconforto e la rassegnazione in agguato dietro l'angolo di ogni giornata. Ma soprattutto contro quella morte che molte, troppe volte finisce per avere la meglio, indicando la sola via di fuga dal dolore. E così che, in occasione della Giornata internazionale Onu a sostegno delle vittime della tortura, domenica scorsa i Radicali hanno voluto ricordare i detenuti morti dal 2002 ad oggi, quelli di cui l'osservatorio di Ristretti Orizzonti è riuscito a recuperare le generalità. Così: leggendone pubblicamente e a gran voce, nome, cognome, nazionalità, età, data e causa del decesso e carcere dove esso ha avuto luogo. Uno alla volta, sotto una forca. E riempiendo pian piano piazza Navona dei loro necrologi, fino ad avvolgerla in grandi lenzuoli di carta. Un modo per restituire identità e dignità alle centinaia di uomini e donne morti per malattia, suicidio e per cause ancora da accertare, che spogliati della propria storia rischiano di esser ridotti a meri numeri, impressi solo nella fredda memoria delle statistiche.

La tortura quotidiana della detenzione è stata ricordata, nel giorno della ricorrenza Onu, anche in numerosi istituti di pena, dove i reclusi hanno aderito al lungo digiuno di Marco Pannella per richiamare l'attenzione sulla crisi della giustizia e l'emergenza carceri. E anche in luoghi simbolo, come l'isola di Santo Stefano - sede del carcere borbonico costruito secondo il modello del panottico - dove l'associazione Liberarsi insieme ad altri attivisti ha voluto portare un fiore al cimitero degli ergastolani, ormai in stato di abbandono. Per commemorare coloro che solo morendo hanno terminato di scontare la propria pena e ricordare chi, condannato oggi all'ergastolo ostativo, è già vittima di una morte sociale e civile. Forse peggiore di quella reale.

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