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Dalla Rassegna stampa

F. C., un ragazzo algerino di 25 anni, è il 62esimo da inizio anno ad essersi tolto la vita nelle prigioni d'Italia. Ha deciso di impiccarsi ieri notte, nella cella clinica del carcere Buoncammino di Cagliari. Lo stesso penitenziario dove, appena qualche ora prima, la Guardasigilli Paola Severino aveva scelto di andare in visita, mossa dall'urgenza di dare una risposta all'ennesimo suicidio; allora, il 5 dicembre scorso, era stata M. B., cittadina italiana detenuta in attesa di giudizio, tossicodipendente, dentro per l'accusa di aver ucciso la propria madre, a decidere per l'atto estremo. Il neo ministro della Giustizia si era detta perfino «commossa» dall'incontro con le compagne di cella di M.B. «Il suicidio di un detenuto rappresenta un fallimento per tutta la società, per la famiglia, per la scuola, per il carcere e le istituzioni», aveva commentato.

Ieri, la notizia della morte del giovane algerino conferma che, come ha indicato il sindacato di polizia Uil Penitenziari che ne ha dato riscontro, il carcere di Cagliari «non sia in grado di tollerare la grave situazione di sovraffollamento. Sono presenti 540 detenuti a fronte di urla capienza di 324». E il sovrannumero è oramai una costante in tutti gli istituti di pena della Penisola. Per porvi rimedio, il ministro Severino ha promesso un decreto legge, aleggiato parole come depenalizzazione, messa in prova anche per gli adulti, estensione della detenzione domiciliare. Favorevole a un provvedimento che agisca «in tempi rapidissimi sul sovraffollamento», Patrizio Gonnella dell'associazione Antigone riflette anche sulle conseguenze inique di una detenzione siffatta: «Chiusi nelle celle per 20-22 ore al giorno, senza potersi lavare quando lo desiderano, a volte senza un letto a disposizione, ci si ammazza nella indifferenza di chi ha il potere di cambiare i loro destini. Ogni mille detenuti urlo si toglie la vita. Altri tre ci provano. Altri dieci si auto lesionano con lamette e oggetti vari». Il leader radicale Marco Pannella, da tempo impegnato nella battaglia per l'amnistia, è tornato a scrivere al presidente della Repubblica Napolitano sottolineando «la prepotente urgenza» di superare le attuali condizioni della situazione nelle carceri. «Purtroppo - sottolinea Pannella nella lettera - il Regime ha provveduto, con naturale suo riflesso, a ignorare e smentire proprio quest'urgenza, come potrebbe facilmente desumersi anche dal solo calcolo dei suicidi, nel frattempo realizzati o tentati, oltre che all'assassinio di tanti, schedati invece come morti "naturali"».

I detenuti di Ancona, Parma, Bologna, in questi giorni hanno reagito con forza. E si teme l'effetto a catena. Dal carcere di Montacuto è partita la prima protesta, con i reclusi che hanno incendiato le bombolette gas in dotazione. «Una rivolta annunciata», ha commentato Adriano Cardogna, capogruppo dei Verdi in Regione Marche ricordando come, dalla muffa nelle docce al mancato funzionamento dell'impianto di riscaldamento, «la situazione è al collasso e diventa sempre più incontrollata e incontrollabile». Poi, la notizia del provvedimento di allontanamento della direttrice del carcere, Santa Lebboroni, e del comandante della polizia penitenziaria, Gerardo D'Errico. Sabato scorso è stata la volta di Parma, dove un agente è rimasto intossicato dal fumo generato dalle lenzuola in fiamme. Ieri, la rivolta ha contagiato il Dozza di Bologna. Così, i dirigenti degli istituti penitenziari hanno preso penna e calamaio per invitare la Guardasigilli a fare ciò che ha promesso. La situazione è «tra le più esplosive», valutano, e «se deflagrasse le conseguenze sarebbero devastanti e capaci di minare la credibilità dello Stato». Minacciando perfino di chiedere aiuto in ambito internazionale ed europeo, i direttori aderenti al Sidipe, uno dei sindacati rappresentativi della categoria, hanno chiarito: «È solo grazie al senso di responsabilità di tutti gli operatori penitenziari se il sistema riesce a tenere». Per quanto ancora, non è detto sapere.

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