41 bis: il pensiero di Veltroni

A proposito di trattamento carcerario il cosiddetto 41 bis è un argomento molto delicato. Il trattamento duramente differenziato per i condannati o gli imputati di mafia ha un punto debole che lo espone alla critica degli organismi internazionali preposti alla salvaguardia dei diritti fondamentali, che, come si sa, devono valere per tutti anche per i mafiosi.
Quando si teorizza che le norme straordiniariamente restrittive possono essere revocate solo se il detenuto collabora con la giustizia, si pone in essere un meccanismo che non ha più a che fare con la sicurezza ma si spinge a evocare la tortura. La Corte europea ha più volte affrontato la questione sulla base di ricorsi contro il governo italiano. Resta sacrosanta l'esigenza di impedire che i mafiosi continuino dal carcere a pianificare reati, anche se è difficile - ma non impossibile- conciliare questa necessità con il diritto. In ogni caso è quel che va fatto. Si può comprendere che ragionamenti del genere vengano osteggiati e criminalizzati da politici come Gasparri. Quello che non mi so spiegare è che ragionino sostanzialmente allo stesso modo di Gasparri politici come Veltroni che in commissione antimafia ha criticato l'ex ministro Conso e l'ex giudice Niccolò Amato proprio per i loro dubbi sul 41 bis.
O forse una spiegazione c'è e sta nella continuità di una politica emergenzialista, per di più ultrasemplificata e intrisa di retorica, che si ritrova nelle due pagine che l'Unità ha dedicato ieri all'argomento.
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