Speciale Nucleare: oltre la paura, una scelta economicamente sbagliata!

Nucleare costi

Moratoria bluff 

Disinnescare una bomba. Questo è l'effetto che il governo spera di ottenere per il referendum con le dichiarazioni del Ministro dello Sviluppo Romani riguardo all'introduzione di una «moratoria di un anno sull'attuazione e ricerca di siti e sull'istallazione delle centrali». A quanto pare il deputato radicale Maurizio Turco aveva colto nel segno affermando che "il referendum fa paura", soprattutto se ciò che si teme davvero non è l'esito di scelte di politica energetica potenzialmente distruttive, bensì la perdita di consenso che potrebbe deflagrare nel pieno della campagna elettorale per le amministrative.

 

La pesante ipoteca della crisi nucleare giapponese dunque sembra finalmente gravare anche sulla politica italiana in materia di energia, ma non esattamente nel modo in cui dovrebbe. Il cambiamento di rotta è tattico. Del resto il Ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo, colta in un fuorionda dall'agenzia Dire, aveva spicciolamente sintetizzato «E' finita. Non possiamo perdere le elezione sul nucleare».

 

Non solo paura, bisogna fare i conti

La posizione Radicale sul nucleare si esprime magistralmente nelle parole di Emma Bonino: «Investire 30 miliardi di euro pubblici per ottenere il 4% di consumo finale di energia tra vent'anni non ha senso economico, in assenza di qualunque quadro compessivo di bisogno energetico nel nostro Paese». Il nucleare dà solo energia elettrica, che in Italia fra quella già installata e quella programmata supera già ampiamente il nostro fabbisogno . Fondamento della posizione Radicale non è l'inseguimento disperato del consenso, bensì una politica di concreta difesa dell’ambiente e soprattutto di oculatezza delle scelte economiche per un Paese come il nostro che non può permettersi errori così onerosi.

 

Referendum: da sempre contro il nucleareManifesto contro nucleare '87

Oggi come nell'87 dunque: referendum post disastro. Allora si trattava di Chernobyl, oggi si tratta di un Giappone che, nel mondo globalizzato, sembra più vicino che mai e conserva lo stesso dirompente effetto nell'opinione pubblica.

 

Per i Radicali non è un problema di sentimento elettorale: già nelle mozioni e nei documenti congressuali del 1977 si affermava la difesa dell’ambiente, della natura e della qualità della vita come obiettivo di centrale importanza per il partito e si individuava la mancanza di una politica organica nella classe dirigente italiana per il miglioramento della qualità della vita, contro gli inquinamenti.

Il partito Radicale fu tra i promotori di un referendum abrogativo per il nucleare ancora prima che l'Europa fosse investita dall'onda emotiva e radioattiva del disastro di Chernoby e l'anno successivo l'impegno Radicale si dimostrò con la campagna di mobilitazione, che sancì l'abbandono di fatto in Italia del ricorso al nucleare come forma di approvvigionamento energetico. Ancora nel 2008, dopo la riapertura del dibattito politico al riguardo causato dall'impennata dei prezzi di gas naturale e petrolio, noi Radicali ci facemmo promotori di un convegno dal titolo "Ritorno al nucleare. Conviene? Risolve?".

 

Nessuno degli elementi che supporterebbero una seria politica energetica è oggi contemplato dal ritorno al nucleare intrapreso dal governo. E un chiaro segnale politico viene in tal senso dall'indisponibilità delle regioni: nessuna infatti, nemmeno quelle in cui alle recenti elezioni regionali il centrodestra è risultato vincitore, si è dichiarata disponibile ad ospitare centrali nucleari. Occorre definire una strategia energetica nazionale che non scaturisca dall'attuale confusione.

 

Per quanto riguarda noi Radicali, anche in vista del referendum sul ritorno al nucleare, la nostra posizione è chiara: la difesa dell'ambiente è da sempre cardine della nostra politica, ma l'istanza che ci muove non è solo ambientalista. Un ritorno al nucleare sarebbe una scelta antieconomica!

 

Intervento sul Nucleare di Marco Pannella durante la conversazione settimanale 



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