Renzi alla prova delle riforme

Renzi Matteo

Nota di Zeno Gobetti:

Il governo Renzi ha scommesso la possibilità di arrivare a fine mandato sulla rapidità e sulla capacità di produrre riforme strutturali per il Paese. L’entusiasmo che in molti settori dell’opinione pubblica questa “novità” ha portato, sembra essere confermata dai progetti e dagli annunci che Renzi ha fatto sin dal primo giorno della sua amministrazione. Difficile dire se tali progetti si concretizzeranno viste le numerose difficoltà che si dovranno superare in un contesto politico precario per il Governo.

Uno dei temi su cui si è focalizzata l’attenzione in questi giorni riguarda le riforme istituzionali. Il Governo ha presentato un ddl costituzionale che porterà alcuni cambiamenti di portata storica sull’assetto istituzionale. Non voglio arruolarmi al partito della “bella Costituzione” che da anni impedisce qualsiasi aggiornamento dell’assetto istituzionale sostenendo l’insostenibile assetto vigente. Ma desidero sollevare alcune perplessità in particolare per ciò che riguarda la riforma del Senato.

Il superamento del bicameralismo paritario auspicato da anni per semplificare l’iter legislativo e per ridurre il rischio di maggioranze precarie a sostegno del Governo ( come si è ripetutamente prodotto nelle ultime legislature), sarebbe uno degli effetti ricercati dal Governo con la nuova riforma costituzionale. Tuttavia, la proposta di riforma che è stata presentata non supera solo la parità di poteri tra le due camere ma, di fatto, determina un superamento del bicameralismo stesso. Infatti osservando il testo che è stato presentato dal Governo, si può evidenziare come il Senato sia totalmente svuotato di ogni potere significativo nell’iter legislativo ordinario, nella fiducia al Governo, nell’approvazione del Bilancio, nell’istituzione di commissioni d’inchiesta parlamentare, nell’attribuzione di poteri speciali al Governo in stato di guerra ecc….

Il Senato non svolgerebbe alcuna funzione significativa nel sistema istituzionale con la sola eccezione della partecipazione all’elezione del Capo dello Stato e la nomina di due giudici della Corte costituzionale. Mi sembra poco serio mantenere in vita un’assemblea per esercitare solo dei poteri di elezione di altre cariche che, per altro, hanno mandati molto lunghi. Visto che la retorica dei tagli ai costi della politica ( che personalmente ritengo molto dannosa se applicata alle istituzioni) la fa da padrone nei dibattiti sulle riforme, non si può che osservare con curiosità che un Senato così sarebbe un inutile spreco di denaro pubblico. Il costo di una istituzione si valuta in base alla sua funzionalità. Se questo Senato costasse anche un solo euro sarebbe comunque uno spreco visto ciò che può fare. C’è da chiedersi perché il Governo Renzi non abbia avuto il coraggio ( o la forza) di proporre l’abolizione totale del Senato presentato una riforma organica in senso monocamerale. A questa domanda non saprei dare una risposta certa. Tuttavia, se si vuole pensare male ( e a volte ci si azzecca) si potrebbe dire che in questo momento è più facile togliere l’indennità dei Senatori che ridurre i costi di struttura che, evidentemente, vanno a toccare “amici” che è bene tenersi tali. Ma questa può essere solo una malizia radicale.

Tornando al contenuto della riforma, si deve evidenziare un altro aspetto che suscita forti perplessità. Questo Senato è stato pomposamente definito “delle autonomie” poiché sarà composto da 127 senatori tra i Presidenti di Regione, due delegati per ogni consiglio Regionale, Sindaci e da 21 di nomina presidenziale. La scelta di non elezione popolare certamente indebolisce ulteriormente questa assemblea. Ma il dato più significativo risiede nel fatto che tale riforma è associata alle modifiche al titolo V della Costituzione nel quale viene introdotta la possibilità del Governo di normare materie di competenza esclusiva delle Regioni per motivi di “… interesse nazionale”. Ma chi lo decide l’interesse nazionale? Non sono tra i sostenitori del pessimo regionalismo che si è prodotto negli anni ’90, ma con queste due paroline si elimina nei fatti ogni “autonomia”.

Perché non superare il bicameralismo paritario attraverso una specializzazione funzionale come avviene in molti altri paesi? Il Senato poteva mantenere funzioni di garanzia e contrappeso rispetto alla Camera dei Deputati. Si potevano spostare i poteri di controllo sul Senato (istituzione di Commissioni d’inchiesta, nomina giudici di Corte e Consiglio Superiore della magistratura, verifica delle nomine nelle autorità Garanti ecc..). Si poteva lasciare al Senato un ruolo minore ma significativo sull’iter legislativo mantenendo la possibilità di rinvio alla Camera delle leggi. Si poteva valorizzare il Senato come reale camera delle autonomie introducendo forme di elezione speciali per garantire l’effettivo legame con il territorio. Si potevano proporre tante soluzioni per elaborare un progetto di riforma coerente. Ma si è preferita un’altra strada.

La riforma risponde all’esigenza di superare il bicameralismo paritario ma lascia un sistema istituzionale senza validi contrappesi alle funzioni del potere esecutivo e legislativo. Forse questa riforma rappresenta un “meno peggio” rispetto all’esistente ( cosa del quale non sono convinto) ma il Paese avrebbe bisogno di meglio.

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