Rifiuti: Radicali al Consiglio regionale, indagine su Fenice

Potenza, 4 ottobre 2011 - Un documento, con 8 domande rivolte ai consiglieri regionali, per chiedere ''un'indagine immediata'' sull'impatto ambientale dell'impianto di termovalorizzazione dei rifiuti ''Fenice'', a Melfi (Potenza) e ''la chiusura della struttura'', e' stato distribuito dal segretario dei Radicali, Maurizio Bolognetti, a Potenza, nel corso di un presidio organizzato davanti alla sede del Consiglio regionale.
Bolognetti ha chiesto di sapere se l'impianto dispone delle necessarie autorizzazioni. (ANSA)
Approfondimenti
Gazzetta del Mezzogiorno, 2 ottobre 2011
Fenice: le foto shock che testimoniano la gravità dell'incendio (Nuova del Sud, 4 ottobre 2011)
Alla luce di quanto esposto, ritengo urgente porre al Consiglio Regionale di Basilicata, al Consiglio Provinciale di Potenza, al Governatore De Filippo, al Presidente Lacorazza e agli assessori all’ambiente di Regione e Provincia alcune domande.
Nella vicenda Fenice è stato applicato il principio di precauzione sancito da trattati e direttive dell’Unione e recepito dal nostro legislatore?
Il fatto che Fenice Spa, oggi opportunamente trasformata in Srl, operi in assenza di una Autorizzazione Integrata Ambientale rispetta il “Principio di Precauzione”?
Il fatto di non aver comunicato ad Enti e cittadini per quasi dieci anni che era in corso un inquinamento delle matrici ambientali del vulture-melfese, non è una palese violazione dell’art.5 comma c della Convenzione di Aarhus?
Nella vicenda Fenice non è riscontrabile la violazione degli articoli 244, 301 e 304 del D.LGS 152/2006?
L’Italia e la Regione Basilicata, il 31 marzo del 2011, sono state condannate dalla Corte di Giustizia Europea per la violazione della direttiva 2008/1/CE che impone il rilascio di un’autorizzazione per tutte le attività industriali e agricole che presentano un notevole impatto inquinante. L’autorizzazione “provvisoria” all’esercizio rilasciata dalla Provincia di Potenza alla Edf, nelle more del rilascio dell’AIA(autorizzazione integrata ambientale), non va a configurarsi come violazione della sopra citata direttiva?
E’ accettabile che un ex Commissario Arpab affermi di non essere stato informato di una grave contaminazione in atto delle falde acquifere del fiume Ofanto, sia nella veste di Commissario dell’Agenzia per l’Ambiente che nella veste di Capo del Dipartimento Ambiente della Regione, e che altrettanto faccia un assessore regionale?
Nella vicenda Fenice è stato applicato quell’alto livello di protezione di cui parla l’art. 301 del D.LGS 152/2006?
La gestione dei rifiuti da parte di Fenice è avvenuta nel rispetto di quanto previsto dalla Direttiva 2008/98/CE, cioè senza creare pericoli per la salute umana e senza recare pregiudizio all’ambiente?
Alle domande poste ho personalmente più volte dato una risposta, ma sono davvero interessato a conoscere l’opinione di tutti coloro che, a vario titolo, sono coinvolti nel “Caso Fenice”. In base al “Principio di precauzione”, l’inceneritore prima Fiat e poi Edf andava chiuso già nel 2002; invece, per quasi otto anni si è taciuto e un intreccio perverso, che ha reso indistinguibile controllore e controllato, ha consentito l’avvelenamento delle falde con ogni sorta di veleni tossico-nocivi e cancerogeni.
Difficile non ravvisare la malafede nelle parole di chi afferma che non ci sono prove dell’impatto sulla salute umana prodotto da Fenice, solo perché nessun cittadino, nel rivolgersi alla sanità pubblica, ha dichiarato ufficialmente di essersi ammalato a causa dell’inceneritore. A costoro gioverà ricordare la vasta letteratura scientifica, che documenta i danni alla salute umana prodotti da un “normale” funzionamento di questi impianti industriali. I Dirigenti dell’ASP di Venosa farebbero bene ad intraprendere seri studi epidemiologici, ad aggiornare il registro tumori e, perché no, a varare Mappe epidemiologiche geografiche. Strumento, quest’ultimo, che consentirebbe di rilevare anomali tassi di incidenza di malattie in prossimità di impianti industriali.
Qualcuno sembra aver dimenticato che gli impianti di incenerimento rientrano fra le industrie insalubri di classe I in base all’art. 216 del testo unico sulle leggi sanitarie e che già il normale, e non “anomalo” funzionamento come nel caso di Fenice, fa sì che questi impianti riversino sulle matrici ambientali sostanze estremamente tossiche, persistenti e bioaccumulabili, quali ad esempio Cadmio, Nickel, Mercurio, oltre alle polveri grossolane(PM10), fini(Pm2,5), ultrafini e a diossine, furani, PCB e IPA.
L’art. 4 della direttiva CE 2006/12(sostituita dalla direttiva 2008/98/CE) recita: “Gli stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti siano recuperati e smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo.”
L’Arpab, la Regione Basilicata e la Provincia di Potenza nel caso Fenice hanno palesemente violato anche l’art. 4 della sopra citata direttiva.
Così come sono stati violati gli obblighi sulle percentuali di spazzatura da riciclare, imposti prima dal Decreto Ronchi e poi dal D.LGS 152/2006. E questo per non dire di quanto enunciato dalla UE, in assoluta continuità con precedenti direttive, attraverso la 2008/98/CE, nella quale si afferma che gli Stati membri non dovrebbero promuovere, laddove possibile, lo smaltimento in discarica o l’incenerimento, ma operare in linea con la gerarchia dei rifiuti e con l’obiettivo di realizzare una società del riciclaggio.
Chissà perché in Basilicata si preferisce, invece, continuare a puntare sul binomio discarica-inceneritori.
A tutti i protagonisti più o meno volontari, più o meno involontari, agli smemorati e ai signori della Asp di Venosa, ai Freschi e ai Sigillito, ai Santochirico e ai Mancusi, noi imputiamo la responsabilità di aver operato contro l’interesse della comunità lucana e in aperta violazione delle direttive UE e delle leggi della Repubblica e della stessa Costituzione, in piena sintonia con i devastanti effetti di un sessantennio partitocratico, che ci fa assurgere al ruolo di “stato canaglia” pluricondannato dall’Europa in materia ambientale, così come sul fronte dell’amministrazione della Giustizia. (Il Testo integrale sulla Gazzetta del Mezzogiorno di domenica 2 ottobre)
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