Il vizietto politico nelle nomine pubbliche

Dalla Rassegna stampa

Nello stretto passaggio tra una Seconda Repubblica al crepuscolo e una Terza che ancora non vede l’alba, colpisce l’atteggiamento di alcuni politici anche di nuova (o seminuova) leva. Di fronte al tracollo dell’etica pubblica e dell’efficienza dei pubblici uffici, costoro spiegano un po’ seccati che il bubbone è ben altro (il benaltrismo è una radicata malattia nazionale): insomma che loro hanno fatto quanto dovevano e bisogna prendersela dunque con i burocrati, gli apparati, le procedure. Certo, c’è del vero. La burocrazia s’è circondata vieppiù dì un muro di liturgie esoteriche per rendersi intangibile, prescindendo anche dal dante causa politico. E questa è pure la prima sensazione che si ricava dalla Tangentopoli milanese vent’anni dopo: una distanza nuova tra attori dello scandalo ed eventuali referenti, come se la politica stesse un passo indietro rispetto a mediatori e profittatori. Tuttavia è bene distinguere ciò che appare da ciò che è.

Pierluigi Battista qualche giorno fa ricordava come l’interesse dei politici nostrani si impenni ogni volta che c’è da nominare un manager di una Asl o un dirigente dei Lavori pubblici, chissà se davvero per irrefrenabile passione verso i temi della sanità e delle grandi opere. Un caso interessante è quello del porto di Napoli, potenzialmente la più grande azienda campana, volano da un miliardo e rotti di investimenti pubblici e privati se soltanto si riuscisse a condurre a buon fine il Grande Progetto per il suo rilancio entro la fine del 2015, data ultima per agganciare gli essenziali fondi europei. Purtroppo di quel progetto non ci sono neppure i bandi d’appalto: la paralisi deriva dall’assenza - son quasi due anni - di un presidente dell’Autorità portuale, figura chiave di manager ai sensi della legge 84/1994 che regola la materia. L’assenza di un presidente dipende appunto dalla battaglia (politica) sul nome del designato: la legge prevede che esca da una tema, concordata in loco, e che poi il ministro, nel nostro caso Lupi, proceda alla nomina d’intesa col governatore della Regione. Questi, di fatto, mette bocca sulla terna e, in modo assai rilevante, sull’esito finale. Bene, proprio su questo giornale, martedì, un politico avveduto come il governatore campano Caldoro ha sostenuto di aver fatto la sua parte e che lo stallo sulla presidenza è «una questione di ricorsi». Caldoro si riferisce probabilmente al tira e molla (anche parlamentare) che ha stoppato la nomina del presidente indicato, il berlusconiano Riccardo Villari, che a sua volta ha vinto un ricorso al Tar senza tuttavia ottenere l’ambita poltrona.
Ciò che Caldoro non dice è che il tira e molla nasce da una peculiarità del candidato: è un medico, proprio come quel Massidda che al porto di Cagliari fu bloccato dal Consiglio di Stato. Villari giura di essersi fatto le ossa nelle commissioni parlamentari dei Trasporti in cui ha lavorato. Tuttavia è lecito chiedersi quali qualità abbiano visto in lui Caldoro e prima ancora Luigi Cesaro, già alter ego di Nicola Cosentino e ora decisivo gestore di voti a Napoli, per interpretare in modo così elastico la legge che prescrive per il presidente «massime competenze» in economia portuale e dei trasporti. Del resto qualche malalingua attribuisce lo stop impresso da Lupi alla nomina non tanto a un’improvvisa resipiscenza quanto alla scissione che ha portato il ministro a militare in un partito diverso da Villari. Si va per le lunghe, avanti coi commissari: per Caldoro «tutti di grande valore» (il penultimo è stato dimissionato dalla Procura). E sarà sempre più difficile convincere gli italiani del vecchio ritornello: non so, non c’ero e se c’ero dormivo.

 

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