Vasco, ma che cosa ti succede?

«Negli anni Ottanta discutevamo spesso. Lui diceva: “Parlano tutti troppo, troppe chiacchiere inutili". Adesso non c'è più nessuno che parla. Nessuno che dice come stanno le cose. Allora ha deciso di farlo lui». Angelo Righetti è uno della vecchia, vecchissima guardia. Amico di Vasco Rossi da sempre, uno di quelli veri, quasi coetaneo del cantante nato a Zocca, in provincia di Modena, il 7 febbraio 1952.
«Righetti, una gran testa di Zocca», lo definisce con ironia lo stesso Blasco. Incontriamo Righetti al Vasco Day, il terzo raduno nazionale dei fan, funestato da un diluvio che costringe gli organizzatori, quasi in lacrime, a interrompere il concerto e la festa. Impossibile suonare all'aperto sotto la pioggia, impossibile stipare tutti dentro il BiBap Bar, il tempio del rock live, dove spesso il Comandante gioca lunghe partite a tressette.
Lui, comunque, non ci sarebbe stato. Blindato in una clinica bolognese, costretto dai medici a sessanta giorni di cure. «Eravamo qui per fargli sentire tutto il nostro affetto», dice Patrizia Monari, Party Rock per gli amici, direttore artistico e anima del raduno. «L'anno scorso ci aveva seguiti dalla casa di un amico, nascosto dietro quelle finestre che si affacciano sulla piazza. Oggi ci aveva promesso un saluto, almeno al telefono». Al raduno c'è anche una figura istituzionale, il sindaco Pietro Balugani. Un evento nell'evento: Balugani, eletto tre mesi fa da una lista civica, annuncia nuove iniziative che il Comune vuole mettere in cantiere assieme al suo cittadino più famoso. Appena si riprenderà dalla malattia che l'ha bloccato in clinica.
Ma che cos'ha che non va, Vasco? Lui stesso ha parlato di una «frattura costoclaveare post traumatica con ematoma ed edema».
Cosa gli è successo? Cos'è quest'infezione che non guarisce, questi dolori? Righetti, oltre che amico doc, è medico. Psichiatra, collaboratore di Basaglia, è stato uno dei protagonisti dell'antipsichiatria italiana.
«Ha dovuto assumere a lungo cortisone che gli ha provocato l'indebolimento delle ossa. Durante un concerto gli si è fratturata una costola. Gli antidolorifici che ha assunto per continuare il tour lo hanno stroncato, adesso è debolissimo».
Righetti è il padre di Sibylle, regista, assieme ad Alessandro Paris, di Questa storia qua, il documentario presentato al Festival di Venezia e nelle sale dal 7 di settembre. Il film-documentario racconta la rockstar e il suo paese attraverso, ricordi, filmini privati, album di famiglia della comunità, soprattutto femminile, come la madre, Novella, e non solo.
Lui, sempre timido, schivo, quasi timoroso degli altri. Il contrario di come si mostra negli ultimi tempi, quando, costretto a interrompere il tour prima per una breve pausa, poi definitivamente, è diventato, all'improvviso, più presente che mai. Messaggi scritti, video, anticipazioni della nuova canzone, I soliti, già diventata un cult. Tutto in pubblico: il bollettino sanitario, lo staff dei medici, presentati uno a uno, compreso Marco, l'infermiere che lo segue. «E mi coccola come un bambino», ride Vasco, in una clip in cui parla anche di sala di rianimazione, mettendo in allarme i fan, ai quali non sfugge il minimo dettaglio. Confessioni notturne, sfoghi: «Non sopporto chi mi dice cosa devo fare e come lo devo fare». Polemiche con Morgan, Ligabue e anche con gli oncologi, dopo aver dichiarato a Vanity Fair: «Se avessi avuto un cancro non mi sarei curato»; prese di posizione politiche, col sostegno alla battaglia dei radicali per la depenalizzazione delle droghe leggere e scontri col ministro Giovanardi.
Tutto è cominciato con il racconto di come si attraversa e si supera, grazie a un cocktail di farmaci, una depressione, con una confessione raccolta per la prima volta dal nostro Armando Gallo, e pubblicata su Oggi a giugno.
Cosa gli è successo? «Si cambia», dice sempre Righetti.
«Ma con coerenza. Trent'anni fa, quando tutti lo definivano un cantautore, si autoproclamò una rockstar; adesso che, a quasi 60 anni, si sente più debole, ha deciso di usare l'arma più potente del momento, il social network».
«Mi sono dimesso da rockstar, divento un social rocker», ha comunicato lui stesso, dalla clinica. Da dove dice: «Non sono ricoverato, ho occupato una parte di questa struttura, perché qui sto più comodo a fare questa terapia».
«Sono davvero preoccupato», confida Riccardo Bellei, un altro della vecchia, vecchissima guardia. Cantante di uno dei primi gruppi di Vasco, tra i fondatori, nel 1971, di Punto Radio, la mitica radio libera di Modena che fu il trampolino di lancio di Rossi, oggi padre felice di due gemelli di poco più di un anno. «Lo dico con dolore. Tutto quello che dice e fa mi fa temere che sia in preda a qualcosa più grande di lui, vittima di una grande paura.
Tante mezze verità per dire e non dire. Per farci capire che sta combattendo una battaglia contro un terribile nemico. Senza ammetterlo. Mi auguro di sbagliare».
Già. Tra il popolo di Vasco che fa la ola sotto il diluvio, assieme agli immancabili sosia, Angelo, il più famoso, occhi azzurrissimi, Antonio, romano, serpeggia la preoccupazione. Quel popolo variegato, da sempre trasversale, fatto di sessantenni e adolescenti, di donne e uomini, si attaccano all'ultima, azzeccatissima canzone, I soliti.
Che suona come un mantra: «Noi siamo i soliti, quelli così, siamo difficili, fatti così; noi siamo quelli delle illusioni; delle grandi passioni... Abbiamo frequentato delle pericolose abitudini, e siamo vivi quasi per miracolo. Noi siamo liberi... Liberi di ricominciare».
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