Vacilla il decreto detenuti governo battuto al Senato

Sarà che è nato sotto una cattiva stella, con quella maldicenza che l’ha subito (e ingiustamente) ribattezzato "decreto salva-Galan". Fatto sta che il dl detenuti varato in gran fretta dal governo a fine giugno rischia di andare a sbattere contro un muro. Cosa che sarebbe praticamente sicura, se l’aula di Palazzo Madama non riuscisse a riportare il testo alla versione approvata pochi giorni fa dalla Camera. Quell’articolato infatti da ieri pomeriggio risulta modificato. L’alterazione è frutto del voto con cui la commissione Giustizia ha soppresso una norma relativa ai Tribunali di sorveglianza. O l’aula pone rimedio, dunque, all’insubordinazione, oppure il decreto dovrà tornare a Montecitorio in seconda lettura. Con il fortissimo rischio che i deputati non riescano a licenziarlo entro il 28 agosto, data di scadenza del provvedimento.
Ad essere passata non è una modifica di quelle che stravolgono l’impianto. Si tratta infatti di una norma minore, che avrebbe consentito di colmare eventuali vuoti nell’organico dei Tribunali di sorveglianza anche con magistrati appena vincitori di concorso, ancora non "bollinati" cioè dalla prima valutazione di professionalità. Reclute inviate al fronte della complicatissima questione carceri, insomma. Una scorciatoia architettata per fronteggiare un deficit di giudici difficilmente rimediabile in tempi stretti. Ma pur sempre una forzatura. Succede che a prendere l’iniziativa siano i senatori forzisti della commissione: Giacomo Caliendo ed Elisabetta Alberti Casellati, insieme con Francesco Nitto Palma, che della commissione è anche presidente. Il loro emendamento sopprime la norma. Trovano man forte, come è prevedibile, nella Lega. Ma anche nel Movimento Cinquestelle, a riprova che sui temi della giustizia, e in particolare al Senato, c’è spazio per l’imprevedibile alleanza tra berlusconiani e grillini. A loro si aggiungono due centristi: Tito Di Maggio di Per l’Italia, gruppo di cui fanno parte i senatori dell’Udc, e Gianluca Susta, piemontese di Scelta civica. E’ la tempesta perfetta: sono 12 voti, quelli della maggioranza restano in 7. Poi ci sono 4 astenuti, di cui 2 del Pd, che al Senato valgono come voto contrario. In tutto fa 11. Troppo poco. E come si può sostenere che al deragliamento non contribuiscano i dubbi dello stesso relatore, il democratico Felice Casson? Il quale, ascolta le ragioni con cui Nitto Palma e gli altri presentano l’emendamento e decide inizialmente di rimettersi alla commissione. Al che il viceministro alla Giustizia che segue i lavori per il governo, Enrico Costa di Ncd, dà parere negativo alla proposta dei forzisti. E certo.
Perché buona o cattiva che sia, renderebbe inevitabile il ritorno del decreto alla Camera, con conseguente rischio di decadenza. Casson a quel punto asseconda la prudenza del viceministro, ma è troppo tardi. I due centristi si sono già fatti persuadere dalle perplessità di Nitto Palma. E votano a favore: 7 a 6 e palla al centro. Beppe Lumia, custode dell’ortodossia pd in commissione, dichiara in una nota tutto il suo disappunto per la sbandata di Susta. Casson precisa a sua volta che il senatore di Scelta civica è l’unico voto organico alla maggioranza venuto meno. E Enrico Cappelletti, capodelegazione M5S, rivendica la bordata assestata all’esecutivo: «Abbiamo ritenuto di dare il nostro contributo, per quel che era possibile, a un voto che può affossare il governo. E che segnala il solito vizio di affrontare le questioni in modo improvvisato, anziché con rimedi veri». Diagnosi impietosa, ma probabilmente veritiera. Lo dimostra il pare contrario dato proprio sul decreto detenuti dal plenum del Csm, secondo cui è "incongruo" il "risarcimento" di 8 euro per chi è recluso «in condizioni inumane e degradanti». Sia perché un giorno di semilibertà (e non di carcere in una cella sovraffollata) vale 30 volte tanto, secondo la legge italiana, sia perché in questi "risarcimenti" non c’è gradualità.
Sono tesi che l’Unione camere penali e Radicali italiani sostengono dal varo del provvedimento. «Il rischio che non venga convertito a questo punto è elevato», dice Rita Bernardini, «e si configurerebbe una vera e propria presa in giro da parte del governo italiano nei confronti del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. quest’ultimo sarebbe l’organismo che deve verificare il rispetto della sentenza Torreggiani da parte del nostro Paese. E’ vero che ci è stato concesso tempo fino al 2015 per ottemperare a tutte le prescrizioni della sentenza», fa notare il segretario di Radicali italiani, «ma questa fiducia si basava anche sull’impegno del ministro Orlando a varare un provvedimento che avrebbe assicurato effettivi e idonei risarcimenti. Ora, già non sono idonei come ha rilevato pure il Csm, forse non saranno neppure effettivi se il decreto non sarà convertito. Vuol dire che a breve invierò un nuovo dossier al Comitato dei ministri, per spiegare ai membri dell’organismo che sono vittime di una vera e propria presa per i fondelli da parte del nostro esecutivo». Scivolone che arriva su un tema, come quello delle carceri, sul quale l’Italia, di pessime figure, ne ha già collezionate troppe.
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