Una spinta ai consumi per aiutare l'Europa

Dalla Rassegna stampa

Se gli anni del rigore di bilancio in Germania non moriranno mai, quelli del rigore salariale forse appartengono - per il bene dell'Europa - al passato. La moderazione dell'ultimo decennio, che in molti round negoziali si era tradotta in un sostanziale congelamento degli stipendi a fronte di garanzie occupazionali, ha lasciato spazio a rivendicazioni più ambiziose negli ultimi mesi.
Le richieste di aumento nei diversi settori sono intorno al 6%, un lusso che soltanto gli operai specializzati e i dipendenti pubblici tedeschi possono permettersi nell'Europa in crisi. Ma anche un lusso che forse, almeno in parte, molte aziende tedesche possono concedere vista la crescita a doppia cifra di utili e fatturato sull'onda delle esportazioni.

Stavolta anche il Governo potrebbe essere d'accordo. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble si è detto favorevole nei giorni scorsi a concessioni salariali «importanti». Servirebbero ad aumentare il potere d'acquisto delle famiglie, quindi a stimolare la domanda interna che è storicamente debole in Germania, e ad accrescere le importazioni dai partner europei. Un aiuto indiretto all'Eurozona, ma anche un riequilibrio dei fattori di crescita.
La stessa Angela Merkel ha fatto intendere da tempo che una dinamica salariale più vivace è nell'ordine delle cose. L'intenzione, manifestata dalla cancelliera, di voler introdurre un salario minimo ne è la testimonianza: ad un tasso di disoccupazione che è ai minimi dalla riunificazione, si aggiunge un altro fattore di pressione al rialzo del costo del lavoro.

Accettare, come ha esortato l'Economist, un'inflazione (anche salariale) più elevata del solito non nuocerebbe granché all'economia tedesca visto che si parte da un tasso del 2 per cento. Farebbe invece bene a quelle periferiche che potrebbero migliorare la loro competitività senza aggravare la crisi debitoria, sia attraverso aumenti della produttività sia, come in questo caso, attraverso un miglioramento dei costi relativi. Un'inflazione al 3% in Germania a fronte di una crescita zero dei prezzi in Spagna, Grecia o Portogallo allevierebbe il gap di competitività di questi ultimi.
Sono primi segnali di disponibilità, da parte dell'establishment politico-economico tedesco, a farsi carico di una parte dei costi della crisi del debito sovrano in termini di maggior impulso alla domanda interna. Dall'alto dei benefici goduti dalla Germania con la moneta unica, in termini di guadagni di produttività e di surplus delle partite correnti, è ancora poco. Ma è pur sempre un inizio.

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