Una scelta di buon senso per fermare il femminicidio

A volte le cose sono più semplici di quello che sembrano. Ci vogliono buon senso e buona volontà, qualità pratiche un po’ fuori moda perché poco spendibili nel circo mediatico dove è finita la politica. Ma ora c’è un’occasione da non perdere. Questo nuovo governo con tutti i suoi difetti e le “convergenze parallele” che non s’incontrano mai, potrebbe lasciare un segno, almeno per quel che riguarda la piaga del femminicidio.
Non servono investimenti mastodontici e non c’è bisogno di chiamare l’esercito o invocare la pena di morte. In Italia ci sono già leggi, esempi virtuosi, energie locali e esperienze professionali che lavorano da anni sul campo: vanno ascoltate, coordinate, finanziate e collegate in un nuovo piano nazionale antiviolenza.
Una donna maltrattata, minacciata, molestata, umiliata da violenze fisiche o psicologiche è un dramma e un danno per la società intera, non un trascurabile -effetto collaterale di una storia d’amore andata a male. Siamo tutti coinvolti e responsabili, anche se non direttamente violenti, perché abbiamo comunque ignorato o avallato comportamenti considerati bonariamente scontati, endemici della nostra cultura mediterranea, simpatici machismi che fanno folklore e nessun danno. E invece anche le parole sono delle armi taglienti.
Non possiamo più sentire negli articoli di cronaca frasi come “Delitto passionale” o “Raptus improvviso di follia”. Che raptus può essere un gesto annunciato da anni di violenze, minacce e ricatti? Lo sapevano tutti che prima o poi qualcosa sarebbe successo: i vicini, il quartiere intero, persino al pronto soccorso e al commissariato di zona dove fioccano a volte denunce inascoltate.
L’Italia è stata severamente redarguita dalle Nazioni Unite nella relazione di Rashida Manjoo, Rapporteur speciale del 2012 che dopo gli insulti al presidente della Camera avrebbe forse rincarato la dose: “La maggior parte delle manifestazioni di violenza in Italia sono sotto-denunciate nel contesto di una società patriarcale dove la violenza domestica non è sempre vissuta come un crimine... e persiste la percezione che le risposte dello Stato non saranno appropriate o utili”. Parole pesanti, gravissime, che avrebbero dovuto almeno stimolare un dibattito e che invece sono scivolate via nei cestini dei ministeri.
Se ci sgridano per il debito pubblico o lo spread che s’innalza, corriamo come bambini impauriti a giustificarci mentre davanti a queste “vergogne” i governi fanno spallucce. Eppure non ci vuole una laurea alla Bocconi per capire che questo tema non è solo politico o culturale, ma anche economico. In questo Paese il welfare si chiama donna: sulle spalle di milioni di cittadine gravano la cura dei figli, degli anziani, della casa; è evidente che la crisi si abbatte con particolare violenza principalmente su di loro. Non è un caso che l’escalation dei delitti s’impenna quando la vita quotidiana si fa più dura per tutti.
Le ultime cifre parlano da sole e questa scia di sangue e dolore va fermata. La violenza maschile sulle donne non è una questione privata, ma politica. Ecco perché in tanti, donne e uomini, hanno firmato l’appello di “Ferite a morte” che chiede al Governo e al Parlamento di convocare senza indugi gli Stati Generali contro questa violenza. Servono interventi immediati, è necessario riconoscere l’urgenza e istituire finalmente un Osservatorio Nazionale che segua il fenomeno. La ministra Josefa Idem ha recepito queste necessità e mi auguro che al più presto dia delle risposte concrete.
Ma lo sforzo deve essere interministeriale, deve essere inaugurata una nuova sensibilità comune che colleghi le pratiche virtuose di sanità, scuola, giustizia, economia verso lo stesso obiettivo, dando ascolto, in primo luogo, a chi da anni lavora sul territorio come le associazioni che fanno parte della Convenzione No More!. Basterebbe leggere quelle due paginette per capire subito cosa fare. Altri Paesi hanno adottato queste buone pratiche e i risultati si sono visti immediatamente. Più di 6.000 firme in meno di un giorno per questo appello rappresentano un segno forte che sarebbe un ulteriore delitto trascurare.
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