Una rosa per l’Europa

Sono fra i firmatari dell’appello affinché nella nomina del Presidente della Commissione Europea il Consiglio dei capi di governo dell’Unione Europea tenga nella massima considerazione l’esito delle elezioni per il Parlamento Europeo. A differenza di Barbara Spinelli, anche se il mio candidato non appartiene al partito che ha ottenuto più seggi, non ho ritirato la mia firma e ritengo quell’appello comunque essenziale ad aprire una conversazione democratica sulle modalità di selezione delle cariche più importanti nelle istituzioni della Ue. In partenza, i capi di governo hanno il dovere politico di riconoscere l’esito delle elezioni per il Parlamento europeo che vede in testa il popolare Juncker.
Dopodiché, eventualmente, non essendosi tecnicamente avuta una elezione popolare diretta di Juncker e non avendo il candidato dei Popolari ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi, diventa non soltanto possibile, ma inevitabile che sia il Parlamento Europeo a prendere l’iniziativa per sbloccare lo stallo. Infatti, in un certo senso, l’Unione Europea è ancora un sistema politico in fieri, in progress che cerca un suo assetto istituzionale complessivo e che deve convivere con una situazione che non è ancora quella di uno Stato federale (neppure sul modello tedesco), ma non può più essere interpretata né ricondotta al semplice e rigido intergovernativismo. Insomma, le tre istituzioni, Consiglio, Commissione e Parlamento, hanno l’obbligo politico di cercare e trovare un nuovo equilibrio. In questo nuovo equilibrio, soprattutto chi desidera ridimensionare il cosiddetto deficit democratico dell’Unione Europea, deve sottolineare che soltanto potenziando il Parlamento si va nella direzione giusta.
Dunque, da un lato, il Parlamento Europeo deve, attraverso un accordo tra i gruppi più importanti, deve esprimere una o, eventualmente (ma, in questo caso, con l’esplicito assenso dei Popolari e dello stesso Juncker), più candidature alla Presidenza della Commissione. Una rosa di nomi autorevoli sarebbe compatibile con lo spirito del Trattato di Lisbona e consentirebbe al Consiglio di ammorbidire le opposizioni a qualsiasi nomina. Dall’altro, il Parlamento deve dare la sua disponibilità ad un confronto che riguardi non soltanto la personalità del Presidente, ma alcuni punti programmatici che indichino la strada da percorrere in termini di politiche pubbliche europee nei settori socio-economici nei quali sono particolarmente evidenti i ritardi e inadeguatezze e nello stesso ambito istituzionale (che comprende anche le procedure burocratiche tanto deprecate dagli inglesi). Naturalmente, se gli inglesi non si chiamassero regolarmente fuori dalle scelte più importanti avrebbero maggiore influenza.
A chi si chiama fuori, però, non è davvero auspicabile concedere un potere di veto preventivo. Piuttosto, si chieda loro, a partire dal Primo Ministro Cameron (il cui euroscetticismo e più non è servito a contenere un insuccesso elettorale clamoroso), di formulare una candidatura che tenga conto dell’esito elettorale e che prometta di fare crescere, da tutti i punti di vista, l’Unione Europea. Sostenere che per superare lo stallo è necessario (certamente non sufficiente) esprimere la candidatura di una donna, mi pare un escamotage. Se poi l’unico nome menzionato è quello di Christine Lagarde, non ci siamo proprio. Sarebbe importante che vi si aggiungesse subito per le sue credenziali provatamente europeiste quello di Emma Bonino. Comunque, le candidature debbono nascere nel e dal Parlamento europeo.
Soprattutto debbono essere argomentate e giustificate anche nella prospettiva dei compiti che la Commissione Europea dovrà affrontare nei prossimi lunghi cinque anni, cruciali per un salto di qualità politico, socio-economico e istituzionale dell’Unione Europea. Non abbiamo avuto l’elezione popolare del Presidente della Commissione. Proprio per questo adesso abbiamo, in quanto cittadini europei partecipanti, il diritto di esigere la messa in atto di quel complesso di procedure democratiche che si chiamano trasparenza e assunzione di responsabilità (accountability). Il semestre di presidenza italiana della Ue ha la grande opportunità di cimentarsi anche con l’approntamento di riforme che accrescano la democraticità e l’efficienza (e il tasso di federalismo politico) dell’Unione, come sempre volle Altiero Spinelli.
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